Europa tra eclissi di civiltà e fermenti di rinascita. Una riflessione del sociologo
Sabino Acquaviva alla vigilia della Festa dell’Europa
Siamo alla vigilia della festa dell’Europa che si celebra dopodomani: ricorda il 9
maggio 1950, quando Robert Schuman presentava la proposta di creare un'Europa unita,
indispensabile al mantenimento di relazioni pacifiche fra gli Stati che la componevano.
La proposta, nota come “dichiarazione Schuman”, è considerata l'atto di nascita dell'Unione
europea. La festa del 9 maggio è diventata un simbolo europeo che, insieme alla bandiera,
all'inno, al motto e alla moneta unica, l'euro, identifica l'entità politica dell'Unione
Europea. Questa festa particolare significato assume quest’anno in cui il processo
di unificazione dell’Europa – avviato con i Trattati di Roma del 57 - compie 50 anni.
E’ questa un’occasione per interrogarci sul presente e il futuro del continente. Una
parola forte ci viene da una recente pubblicazione dal titolo provocatorio: “L’eclissi
dell’Europa, decadenza e fine di una civiltà”. Quali i segnali più allarmanti che
hanno portato l’autore, il sociologo Sabino Acquaviva, a questo annuncio così
inquietante? Ci risponde lui stesso, al microfono di Carla Cotignoli: R.
- Bisogna pensare ai grandi fenomeni guardando anzitutto alle cifre. E i numeri cosa
dicono? Che gli europei non fanno figli, quindi hanno un futuro da questo punto di
vista, demografico, preoccupante; che la produzione industriale è più bassa che in
alcuni Paesi a grande sviluppo e dietro tutto questo c'è una crisi di civiltà e di
valori sulla quale bisogna fermare la nostra attenzione. Mi ricordo un professore
egiziano dell'Università del Cairo che mi diceva: “ Perchè vi agitate tanto voi europei?
Tanto quattro europei diventano due, perchè ogni coppia fa un figlio. Mentre quattro
egiziani diventano cento, quindi vinceremo noi, con la nostra religione, con i nostri
ideali.
D. - Professore, lei è un grande esperto
del fenomeno religioso, cosa sta succedendo al cristianesimo secondo lei in Europa?
R.
- Il cristianesimo ha avuto molti problemi, ha dovuto lottare più di un secolo contro
il processo di secolarizzazione. Ma c'è stato anche un processo di secolarizzazione
nel marxismo. Mi ricordo che quand'era in corso lo sviluppo economico degli anni ‘60
e andò in crisi la pratica religiosa, un mio amico comunista mi disse: "Adesso finisce
il cristianesimo, passeremo a noi". Io ho risposto: "No, perchè la crisi portata
dall'industrializzazione e dal consumismo investirà anche voi". Infatti il consumismo
ormai passa come uno schiaccia sassi su tutti i valori, su tutti i movimenti politici,
religiosi.
D. - Lei conclude il suo libro ponendo
l'interrogativo: "L'Europa può salvarsi dando origine a una civiltà diversa da quella
che sta morendo?" Secondo lei ci sono segnali che possono essere l'inizio di una qualche
risposta a questo suo interrogativo?
R. - Sì, io
potrei dire che esistono facendo un paragone fra la fine del paganesimo e il tempo
presente. Quando è entrato in crisi il paganesimo si sono presentati moltissimi movimenti,
la secolarizzazione della società pagana ha fatto nascere maniere diverse di essere
religiosi, di vivere l'esperienza religiosa che è un'esigenza fondamentale anche biologica
e psicologica dell'uomo. Quella crisi ha prodotto una serie di fermenti. Ecco, io
vedo che la crisi dei nostri giorni, probabilmente, entro certi limiti, produce già
oggi una serie di fermenti: ci sono dei tentativi continui di carattere religioso
o quasi religioso di riproporre dei significati ultimi dell'esistenza dell'uomo. Dalle
indagini sul campo risulta addirittura che quando noi facciamo delle domande per conoscere
il livello di religiosità delle persone di primo acchito, per esempio, quando chiediamo:”Lei
crede che esista Dio o la religione?! “ No, no”, mi rispondono. Se però vado a fondo,
cambio la domanda e chiedo: “Lei ha mai vissuto delle esperienze di una potenza che
la trascende, la chiama Dio o no?” Allora molti rispondono di sì. Quindi, c'è un'esigenza
di fondo, che in fondo è interna all'evoluzione della specie umana, che riemerge costantemente.
Allora noi siamo in una fase analoga a quella che si è avuta nella fase di crisi del
paganesimo, c'è una serie di fermenti interni e esterni al cristianesimo, al messaggio
evangelico, etc., e il confronto fra questi fermenti e la loro promozione ci dirà
domani qual è il futuro della religione e quindi dell'Europa.
D.
– Qual è il ruolo dei media nell’evoluzione della crisi di civiltà dell’Europa?
R.
– Secondo me un ruolo importante perché i mezzi di informazione in fondo rispondono
sempre alle esigenze del mercato. Ora il mercato chiede un certo tipo di consumi,
di comportamenti, ecc. Allora i media finiscono per promuovere un nuovo consumatore
perché l’uomo deve consumare perché consumando si produce e producendo la società
va avanti. Questo fa sì che i mezzi di informazione svolgano questa funzione come
uno schiacciasassi andando avanti e indietro sulla società, distruggendo tutto quello
che non è il consumo, distruggendo sistemi di valori, valori politici, valori religiosi,
quindi direi che in questo meccanismo di distruzione dell’essenziale della civiltà
europea, i mezzi di informazione hanno una funzione fondamentale. E poi, soprattutto
l’uomo viene spinto ad auto distruggersi anche psicologicamente cioè noi avevamo bisogno,
per vivere in questa società, di un sistema di certezze invece ci è offerta la negazione
di qualsiasi certezza e quindi una disperazione psicologica contro cui bisognerebbe
ribellarsi, la rivolta cioè contro una schiavitù che stranamente non ci viene imposta
ma assimiliamo piacevolmente giorno per giorno.