Le Guardie Svizzere commemorano i caduti nella difesa del Papa durante il Sacco di
Roma, il 6 maggio del 1527. Intervista con il colonnello Elmar Theodor Mäder
La Guardia Svizzera Pontificia ricorda oggi i 147 commilitoni caduti per difendere
Papa Clemente VII il 6 maggio 1527 durante il Sacco di Roma da parte delle truppe
dell’imperatore tedesco Carlo V. Le 42 Guardie Svizzere sopravvissute agli scontri
riuscirono a portare in salvo il Pontefice a Castel Sant’Angelo attraverso il “passetto”,
la struttura muraria ancora oggi esistente, che collega il Vaticano al castello. Stamani,
l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, ha presieduto
la Santa Messa per le Guardie nella Basilica Vaticana. La commemorazione vera e propria
si è svolta al mattino nel Cortile d’onore della Caserma, mentre questo pomeriggio
alle 17.00 il Cortile di San Damaso ospita la cerimonia del giuramento delle 38 reclute,
alla presenza di ecclesiastici, diplomatici e dei familiari dei nuovi commilitoni.
Ma cosa vuol dire oggi far parte della Guardia Svizzera? Risponde, al microfono di
Giovanni Peduto, il comandante della Guardia Svizzera, il colonnello Elmar
Theodor Mäder:
R. –
Per i giovani d’oggi rappresenta un’esperienza, normalmente la prima esperienza che
fanno all’estero e quindi si tratta di un incontro con un’altra cultura, un’altra
lingua. E’ una esperienza nel campo della sicurezza. Ci sono alcuni che vogliono anche
sperimentare il “cameratismo”, che è molto presente nella Guardia Svizzera. Si tratta
insomma di una “avventura”.
D. - Qual è il ruolo
della Guardia Svizzera riguardo alla sicurezza del Papa?
R.
- Noi abbiamo il compito della sicurezza personale del Santo Padre. Questo è un compito
che possiamo garantire con il personale – diciamo – più anziano e, quindi, caporali,
sergenti ed ufficiali, che sono circa 25-30, che si occupano specificatamente di questo
settore della sicurezza. Il giovane che arriva da noi, quindi, ancora non svolge questo
compito di sicurezza personale del Papa. Per noi è un po’ più facile riuscire a garantire
la sicurezza del Papa, rispetto ad altri servizi di sicurezza esteri e questo perché
il Vaticano è piccolo, ne conosciamo tutti gli angoli e l’area nella quale gira il
Papa è continuamente sorvegliata sia dalla Guardia Svizzera che dalla Gendarmeria.
Quando poi il Papa viaggia la sicurezza è anzitutto compito del Paese che ospita il
Santo Padre, ma è certo che sono presenti anche guardie che fanno da collegamento
tra la sicurezza locale e il seguito del Papa.
D.
- Qual è la sua esperienza personale? Perché è entrato a far parte della Guardia Svizzera?
R.
– Sono entrato per motivi – diciamo – vocazionali, anche se non si tratta ovviamente
di una vocazione sacerdotale, che non ho. Ho sentito, però, alla fine dei miei studi,
di lavorare concretamente per la Chiesa; incontrando un sacerdote svizzero qui a Roma,
si è sviluppata questa idea, questa possibilità di diventare ufficiale della Guardia
Svizzera. Per me è molto importante stare vicino al Papa, lavorare concretamente per
lui. Ma anche il lavoro con i giovani mi sta veramente molto a cuore, perché hanno
un’età – tra i 20 e i 25 anni, appunto – dove si lasciano ancora plasmare. Questo
è un ruolo anche un po’ di insegnante. Quando noi guardiamo indietro alla nostra vita,
capiamo che questa è una età molto intensa e molto importante. Se io posso dare loro
qualcosa per il loro futuro, per me è molto soddisfacente.