La vicenda di Vanessa. Mons. Sigalini: necessaria la giustizia, ma il cristiano deve
saper dire la parola "perdono"
La morte di Vanessa Russo, la giovane rimasta vittima, una settimana fa, di un’aggressione
da parte di due rumene, nella stazione Termini della metropolitana di Roma, ha scosso
le coscienze di molti. L’episodio ha sollevato anche interrogativi sui problemi legati
all’integrazione degli immigrati in Italia e sulla sicurezza. Rosario Tronnolone
ne ha parlato con mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e segretario
della Commissione per le Migrazioni della Conferenza episcopale italiana:
**********
R. – Questi fatti delittuosi ci addolorano e soprattutto chiamano in causa
un sentimento di vigilanza e di attenzione ai diritti di tutti e quindi l’applicazione
della giustizia. Questo, però, non significa che dobbiamo iniziare battaglie pro o
contro a partire da queste situazioni, tanto più che come cristiani abbiamo il dovere
di intervenire con un massimo di comprensione e di accoglienza, pur nel rispetto dei
diritti di tutti.
D. – Secondo lei è possibile prevenire episodi di questo
genere?
R. – La prevenzione funziona soprattutto se riusciamo ad assicurare
dei diritti per le persone che entrano come ospiti nella nostra comunità. Teniamo
conto che tante volte le persone che compiono questi gesti sono dentro illegalità
assolute - e nelle quali vivono anche tanti dei nostri connazionali - perché non è
mai rispettato il diritto di tutti. Sappiamo degli affitti che vengono praticati a
persone di questo genere, del lavoro in nero che esiste, sappiamo anche della tratta
delle persone, che vengono avviate alla prostituzione. Insomma, c’è tutto un insieme
di elementi sui quali dobbiamo porre attenzione, che non giustificano assolutamente
nessun gesto, neanche lontanamente vicino a quello cui stiamo pensando in questi giorni,
ma che però richiamano tutti noi ad un’accoglienza seria. Dobbiamo avere il coraggio
di chiedere il rispetto dei diritti, ma dobbiamo, però, anche noi rispettare i diritti
di tutti.
D. – Lei ha parlato di accoglienza seria, in questo, dal punto
di vista delle istituzioni, è forse necessaria anche una maggiore chiarezza nelle
regole, una maggiore chiarezza nell’ordine…
R. - La chiarezza nelle regole
è fatta anche però di uno stile di vita e lo stile di vita non è improvvisabile soltanto
con delle leggi che dicono questo o quest’altro. Nessuno è autorizzato a compiere
dei delitti, questo lo sappiamo tutti. Perché avvengono allora? Perché c’è un clima
nel quale non riusciamo a rimettere al centro le questioni fondamentali e quindi il
rispetto della vita di tutti. Siccome è venuto meno il rispetto della vita di tutti,
si giunge a questi estremi. Io, però, vorrei anche dire che come cristiani abbiamo
un obbligo in più oltre che all’accoglienza, alla comprensione e al senso della giustizia.
La parola “perdono” il cristiano deve dirla altissima. Se c’è uno che ha continuato
a parlare di perdono è proprio Gesù, che è morto per la giustizia. Non possiamo tacciarlo
di connivenza, di aver chiuso un occhio, di insabbiamento. Non è questo il perdono.
Il perdono è imitare Dio, fare come fa Lui per noi. E invece Dio, purtroppo, ci trova
sempre più inadempienti, ma nonostante questo Lui ci ama ancora di più.
D.
– Quando parliamo di accoglienza, quando parliamo di rapporti tra le persone, cosa
deve esserci da parte dei singoli?
R. – Da parte dei singoli deve esserci la
consapevolezza che l’incontro con l’altro è sempre un dono. Siamo tutti dentro questo
rischioso mestiere di vivere. L’ascoltare, l’accogliere l’altro è sempre la ricerca
di un dono che ci è dato da Dio, nelle vite delle persone che ci circondano.