Israele: vacilla il governo Olmert per il rapporto sulla guerra in Libano: intervista
con Antonio Ferrara
Sempre più difficile il futuro politico del premier Ehud Olmert. Dopo le accuse di
cattiva gestione della guerra in Libano, nel luglio dello scorso anno, evidenziate
dal rapporto parlamentare sulla conduzione del conflitto, aumentano le richieste di
dimissioni, numerose anche dallo stesso Kadima, il partito del capo del governo. Ma
che cosa potrebbe cambiare in Israele con le dimissioni di Olmert? Giancarlo La
Vella lo ha chiesto a Marcella Emiliani, docente di Sviluppo Politico del
Medio Oriente all’Università di Bologna: **********
R.
– Le eventuali dimissioni di Olmert non cambierebbero di molto il quadro politico
in Israele. Cioè, in questo momento, ad essere molto, molto debole è il partito al
governo, Kadima. L’attuale ministro egli esteri, signora Livni, non potrebbe che ristringere
le stesse alleanze che ha stretto Olmert. Ci troviamo, quindi, ad una gravissima crisi
di leadership in Israele. Evidentemente la guerra in Libano non era neanche
pienamente sentita dalla popolazione. Israele, in fin dei conti, la guerra non la
ha tecnicamente persa, è stata fatta male. La cosa grave è che l’ha persa dal punto
di vista morale, l’ha persa dal punto di vista della popolarità. E’ una guerra che
ha rilanciato alla grande gli hezbollah ed è una guerra che ha minacciato da vicino
Israele: i missili sono piovuti su Haifa, su Tel Aviv. La sicurezza, che è il primo
comandamento di Israele, è stata violata nella maniera più assoluta. E’ quindi lo
scacco politico grave: Israele che aveva fama di essere il Paese con il miglior esercito
del Medio Oriente, in occasione della guerra in Libano ha dimostrato che questo esercito
non è più all’altezza della sua fama.
D. – Questo
potrebbe voler dire che in tempi brevi potremmo aspettarci un nuovo intervento militare
israeliano nel sud del Libano proprio per mettere a posto le cose che sono state lasciate
in sospeso?
R. – Dubito fortemente che con l’aria
che tira in questo momento in Medio Oriente, Israele abbia bisogno di ricorrere ad
una prova di forza come questa che, tra l’altro, non potrebbe essere fatta senza l’esplicito
consenso degli Stati Uniti. Un’azione di nuovo di Israele nei confronti del Libano
manderebbe all’aria un sacco di tavoli su cui, invece, le diplomazie internazionali
stanno lavorando.
D. – Gli effetti sulla situazione
israelo-palestinese?
R. – Il punto è proprio questo:
per quanto debolissimo questo governo, anche se riluttante, è quello su cui si pensa
sia più facile il dialogo con i palestinesi. Se questo governo dovesse crollare, se
non riuscisse alla Livni di tenere in piedi il governo di Kadima, ci troveremmo al
governo il Likud, Benjamin Netanyahu, che con i palestinesi ha certamente un approccio
molto molto più difficile. Quindi Kadima è debole, ma rappresenta una delle poche
speranze di dialogo con i palestinesi. Se torna Netanyahu ci ritroviamo in una situazione
grave come quella che portò poi al fallimento degli accordi di Oslo.