- Ancora stragi in Iraq dove almeno tredici persone, tra cui donne e bambini, sono
morte in una serie di attentati nell’area meridionale di Baghdad. Il più grave è avvenuto
contro la Mezzaluna Rossa, gemella della Croce Rossa nei Paesi islamici, dove uomini
armati hanno teso un agguato a un minibus su cui viaggiava il personale dell’organizzazione,
nel quartiere di Zafaraniyah, uccidendo 4 operatori e ferendone 3. Sono almeno 23,
invece, i cadaveri ritrovati in varie zone della capitale e trasportati all’obitorio
per tentarne l’identificazione. Solo ieri i cadaveri ritrovati erano stati 26.
-
Si trova sulla strada verso Kabul, accompagnata dalle autorità parigine, la cooperante
francese rapita dai talebani il 3 aprile scorso assieme ad un connazionale e a tre
collaboratori locali. Lo ha riferito il presidente di ‘Terre d’enfance’, la ONG per
la quale lavorano. Il nostro servizio:
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francese ha confermato la notizia, annunciata stamani da un portavoce dei talebani
che, all’agenzia France Press, ha detto: la liberazione è avvenuta stamani a Kandahar
nel sud del Paese per “motivi umanitari” e come prova delle nostre buone intenzioni
verso il governo di Parigi. In precedenza un'altra fonte dei guerriglieri aveva annunciato
la concessione di un’altra settimana per negoziare il rilascio dell’altro operatore
umanitario francese e dei tre afgani ancora nelle mani dei sequestratori. L’ultimatum,
lanciato il 20 aprile scorso, era scaduto ieri. Le condizioni poste sono sempre il
ritiro delle truppe francesi presenti nel Paese, nell’ambito della forza NATO, e la
scarcerazione di alcuni miliziani detenuti dalle autorità di Kabul. A determinare
questo sviluppo della crisi forse la dichiarazione di ieri del ministro degli Esteri
francese, Philippe Douste-Blazy, secondo il quale Parigi crede nel rispetto della
sovranità, dell’indipendenza nazionale e dell’integrità territoriale e dunque non
resterà a lungo in Afghanistan. Intanto sul terreno lo scenario non cambia. Nella
provincia di Khost, verso il confine con il Pakistan, 13 ribelli sono rimasti uccisi
in un raid aereo notturno condotto dalle forze NATO, intervenute in appoggio alla
polizia locale. **********
- Prosegue la visita del presidente Abu Mazen
al Cairo, dove ieri per la prima volta dalla formazione del governo di unità nazionale
palestinese, a marzo scorso, ha incontrato il leader del movimento di Hamas, Khaled
Meshaal. Diversi i temi affrontati. Abu Mazen ha condannato la violazione della fragile
tregua da parte israeliana e palestinese, mentre il leader di Hamas ha giustificato
il lancio di missili contro Israele come una forma di “autodifesa contro l’aggressione”.
Il presidente palestinese ha poi espresso ottimismo sulla possibile revoca, in tempi
brevi, dell’embargo imposto dagli occidentali. Intanto sul terreno quattro miliziani
sono stati uccisi nella striscia di Gaza dal fuoco dell’esercito israeliano.
-
In Nepal, stamani, la polizia ha aperto il fuoco contro alcuni dimostranti appartenenti
al gruppo di minoranza etnica Chure Bhawar Unity Society uccidendo almeno una persona.
Gli scontri sono avvenuti nella città di Hairwon, a circa 400 km a sud est della capitale,
Katmandu, quando alcuni attivisti del gruppo hanno attaccato un convoglio scortato
dalla polizia. Gli attivisti chiedono maggiori diritti per la popolazione del sud
del Nepal.
- “La nostra pazienza non è illimitata”. Con queste parole, durante
la conferenza stampa tenuta ieri a Camp David con il premier giapponese Shinzo Abe,
il presidente degli Stati Uniti Gorge W. Bush ha sollecitato la Corea del Nord a mettere
fine al suo programma nucleare. Se la Corea del Nord non rispetterà gli impegni “ci
sarà un prezzo da pagare” – ha concluso Bush – riferendosi alla possibilità di nuove
sanzioni contro il Paese asiatico. Anche il premier giapponese ha affermato che “se
la Corea del Nord non risponderà in modo adeguato sarà necessario fare ricorso a misure
più dure”. L’accordo per porre fine al programma nucleare nordcoreano era stato stipulato
il 13 febbraio tra la Corea del Nord e gli altri cinque Paesi partecipanti ai colloqui
(Cina, Russia, Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud). La scadenza era prevista per
metà aprile.
- Il commissario europeo all'Allargamento, Olli Rehn, ha lanciato
un monito alla Turchia, invitando i militari a "non interferire" nel voto parlamentare
per l'elezione del nuovo presidente del Paese, iniziato ieri. Lo stato maggiore dell'esercito,
infatti, nelle ultime ore aveva espresso "preoccupazione" per lo svolgimento degli
scrutini, dopo che Abdullah Gul, candidato del partito filo-islamico del premier Erdogan,
non aveva ottenuto la maggioranza qualificata necessaria per l'elezione diretta. Su
questa intricata elezione presidenziale, sentiamo l’analisi del prof. Ugo Draetta,
internazionalista dell’Università Cattolica di Milano, intervistato da Stefano
Leszczynski:
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R. – In Turchia
noi assistiamo ad un paradosso che occorre comprendere. Il processo di democratizzazione
rischia di portare ad un’islamizzazione, quindi ad una radicalizzazione e alla fine
del processo democratico stesso. E per assurdo la garanzia che questo non avvenga
è nelle mani dei militari, che in genere sono un ostacolo al processo di democratizzazione,
ma in questo caso costituiscono una diga contro l’islamizzazione del Paese.
D.
– In Turchia, secondo l’analisi dei militari, non ci sarebbe distinzione tra un islamismo
moderato ed un islamismo radicale…
R. – Esattamente.
C’è il timore che non si riesca a contenere l’islamizzazione in un contesto di moderazione
e che le frange estremiste abbiano una capacità di espansione e di contagio tale da
finire con il prevalere.
D. – I partiti dell’opposizione
in Turchia hanno boicottato un po’ questa prima tornata di elezioni, nonostante il
premier turco Erdogan abbia messo in guardia sui pericoli, in un momento delicato
di relazioni internazionali…
R. – Questo boicottaggio
da parte dell’opposizione sembra non rendersi conto che la Turchia possa trovarsi
su una china pericolosa. Può riprendersi, e tutti noi ci auguriamo che le cose vadano
per il meglio, ma c’è un pericolo.
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-
Cresce la tensione fra Russia ed Estonia, dopo gli scontri tra polizia e gruppi di
dimostranti che si oppongono alla rimozione di un monumento dedicato all'Armata Rossa,
nella capitale estone Tallin. Il bilancio delle violenze di questa notte parla di
74 feriti e oltre 600 arrestati. Disordini si sono verificati anche in altre città
del Paese. Forti le contrapposizioni per il monumento in questione che per Mosca ricorda
la lotta al nazifascismo, mentre per molti estoni rappresenta il doloroso simbolo
di 50 anni di presenza sovietica nel Paese. In questo quadro le autorità russe hanno
ribadito l’intenzione di rivedere “seriamente” le relazioni diplomatiche con l’Estonia.
-
Manifestazione delle organizzazioni giovanili filoputiniane davanti all’ambasciata
USA a Mosca. Un migliaio di giovani hanno donato il sangue che servirà – hanno dichiarato
- “per creare una banca di donatori per le vittime dell’aggressione americana e per
i loro ideali superbi”.
- Le presidenziali francesi. Il leader centrista, Francois
Bayrou, a conclusione dell’odierno dibattito televisivo con la candidata socialista
all’Eliseo, Ségolène Royal, ha affermato che deciderà per chi votare solo dopo aver
ascoltato il confronto televisivo del 2 maggio fra la Royal e Nicolas Sarkozy. “Possiamo
fare un pezzo di strada insieme” ha detto la Royal, pur riconoscendo che non ci sarà
alcuna adesione completa fra le due formazioni. Bayrou ha evidenziato la necessità
di superare la logica del muro contro muro in favore di “unioni più larghe di quelle
che abbiamo avuto finora”.
- Si è detto “commosso” l’ex premier italiano Silvio
Berlusconi per l’assoluzione al processo d’appello che lo vedeva accusato di corruzione
in atti giudiziari per il caso della compravendita dell’impresa pubblica SME. “Non
ho mai commentato nessuna sentenza" – ha affermato il presidente del Consiglio Romano
Prodi che ha precisato: “ho sempre creduto nella giustizia”. Per il ministro delle
Infrastrutture Di Pietro “non c’è stato accanimento giudiziario nei confronti di Berlusconi”
ma solo la volontà di accertare i fatti.
- Ancora dall’Italia. Resterà in
libertà Anna Maria Franzoni che ieri è stata riconosciuta colpevole per l’uccisione
di suo figlio, avvenuta nel 2002, e condannata in appello a 16 anni. A precisarlo
il procuratore generale della Repubblica di Torino, Vittorio Corsi, secondo il quale
bisogna arrivare alla sentenza definitiva per la reclusione. L’imputata, che continua
a proclamare la sua innocenza, ha detto di essere disperata per la sentenza. (A
cura di Eugenio Bonanata e Franco Lucchetti)