Appello di Amnesty International a rafforzare la coalizione dei Paesi che vogliono
abolire la pena di morte
Nel giorno in cui un detenuto è stato messo a morte in Texas, segnando la tredicesima
esecuzione in questo stato; nel giorno in cui in Giappone tre condannati sono stati
impiccati in tre diversi penitenziari e all’indomani della risoluzione del Parlamento
europeo per sollecitare una moratoria sulle pene capitali, Amnesty International ha
presentato ieri a Roma, alla presenza del segretario generale Irene Khan, i dati sulla
pena di morte 2006. Ce ne parla Francesca Sabatinelli.
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Il
numero delle esecuzioni e il numero dei Paesi che le mettono in atto è in calo. Dalle
2148 del 2005 si è passati alle 1591 del 2006, un trend positivo, sottolineato dal
segretario generale di Amnesty International, Irene Khan, in Italia per la presentazione
dei dati, ma anche per incontrare il premier Prodi. E’ sull’Italia che Amnesty conta
per dare vita ad una coalizione globale di governi contrari alla pena di morte, che
abbia come priorità il conseguimento di una moratoria universale sulle esecuzioni:
“I THINK THE TRENDS… La buona e forte coalizione tra abolizionisti
può isolare e affrontare il problema di quel nucleo duro di Stati. Non si deve sottovalutare
la reazione negativa che potrà venire da quel nucleo duro. Questo rende particolarmente
importante il fatto che la moratoria sia sostenuta da una coalizione forte che non
comprenda solo Stati europei, ma Stati africani, Stati dell’America Latina e via dicendo”.
L’anno scorso il 91 per cento delle esecuzioni è stato registrato in soli
sei Paesi: Cina, Iran, Pakistan, Sudan, Stati Uniti e Iraq, Paese che con la reintroduzione
nel 2004 della pena di morte ha compiuto – ha detto la Khan - un grave passo indietro.
L’impiccagione di Saddam Hussein ha sviato l’attenzione dall’escalation delle esecuzioni,
con oltre 65 persone messe a morte:
“SADDAM HUSSEIN’S EXECUTION… Da
una parte l’esecuzione di Saddam Hussein è avvenuta al termine di un processo iniquo,
non conforme agli standard internazionali e questo ha dato a molti l’impressione che
si sia trattata non di giustizia, ma di vendetta. Dall’altra parte, bisogna dire che
il fatto che Saddam Hussein, che aveva giustiziato arbitrariamente tante persone,
è stato trattato nella stessa maniera vuol dire che il nuovo governo non è riuscito
a voltare pagina”.
Ma è la Cina che continua ad essere il Paese leader delle
esecuzioni. Amnesty ne ha registrate almeno mille, ma i dati sulla pena di morte sono
segreti e si teme che il numero effettivo possa arrivare ad otto mila. “Ciò che ora
ci si augura – ha concluso la Khan – è che le prossime Olimpiadi di Pechino possano
essere un’occasione per esercitare ulteriori pressioni sulle autorità cinesi”.