2007-04-27 15:13:00

Presentato il Rapporto di Amnesty International sulla pena di morte


Il numero delle esecuzioni e il numero dei Paesi che le mettono in atto è in calo. Dalle 2148 del 2005 si è passati alle 1591 del 2006, un trend positivo, sottolineato dal segretario generale di Amnesty International, Irene Khan, in Italia per la presentazione dei dati, ma anche per incontrare il premier Prodi. E’ sull’Italia, infatti, che Amnesty conta soprattutto per dare vita ad una coalizione globale contro la pena di morte, un gruppo che abbia come priorità il conseguimento di una moratoria universale sulle esecuzioni. “Un mondo senza pena di morte è possibile, se governi influenti intenderanno dare un segnale di leadership politica”, ha dichiarato Irene Khan. L’anno scorso il 91 per cento delle esecuzioni è stato registrato in soli sei Paesi: Cina, Iran, Iraq, Pakistan, Sudan e Stati Uniti. “Questi sostenitori ad oltranza delle esecuzioni – ha affermato la Khan – sono isolati ormai, non più in sintonia con la tendenza mondiale”. L’Iraq si è aggiunto alla lista dei leader mondiali delle esecuzioni e ha compiuto un grave passo indietro. L’uso della pena di morte in questo mese è cresciuto rapidamente, dopo la reintroduzione, avvenuta a metà del 2004. Nel 2006 l’impiccagione di Saddam Hussein, a dicembre, ha sviato l’attenzione dall’escalation delle esecuzioni, con oltre 65 persone messe a morte. Le esecuzioni in Iran, almeno 177, nel 2006 sono quasi raddoppiate rispetto al 2005. Il Pakistan ha fatto un salto in avanti nella classifica dei Paesi che più usano la pena di morte, con 82 esecuzioni almeno. In Sudan sono state 65, ma si teme che il dato effettivo possa essere più alto. Negli Stati Uniti 53 persone sono state messe a morte in 12 Stati. Ma è la Cina che continua ad essere il Paese leader delle esecuzioni. Amnesty International ne ha registrate almeno mille, ma i dati sulla pena di morte sono considerati un segreto di Stato e si ritiene che il numero effettivo delle persone messe a morte possa arrivare ad otto mila. “Ciò che ora ci si augura – ha concluso la Khan – è che le prossime Olimpiadi di Pechino possano essere un’occasione per esercitare ulteriori pressioni sulle autorità cinesi”. (A cura di Francesca Sabatinelli)
 







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