- Scudo spaziale, ingerenze estere nella politica interna, un ricordo di Boris Eltsin,
scomparso lunedì scorso. Questi, alcuni dei temi che il presidente russo, Putin, ha
affrontato nel suo ultimo discorso annuale alla nazione, prima della fine del mandato.
Ce ne parla Giuseppe D’Amato: **********
Vladimir
Putin a tutto campo nel suo discorso davanti al Parlamento, riunito in sessione congiunta
alla Sala di Marmo del Cremlino. Per circa un’ora il presidente russo ha tracciato
un bilancio dell’ultimo anno. La Russia è entrata nelle prime economie del mondo e
questo è un successo, considerata la situazione di partenza nel Duemila. Il 21 dicembre
vi saranno le elezioni parlamentari e secondo il capo del Cremlino con questo sistema
elettorale le opposizioni avranno maggiori possibilità di allargare le loro rappresentanze.
Putin ha, però, denunciato che i capitali stranieri sono portati in Russia per interferire
in questioni di politica interna. Mosca proporrà una moratoria per il Trattato sulle
armi convenzionali in Europa: dalle parole bisogna passare ai fatti, che tutti i Paesi
della NATO lo ratifichino come ha fatto la Russia. Il Cremlino ne parlerà prossimamente
nelle sedi competenti. Il chiaro riferimento è al progetto di dispiegamento dello
scudo spaziale nel vecchio continente.
Per la Radio
Vaticana, Giuseppe D’amato.
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Giunta ad Oslo, in Norvegia, per partecipare a una riunione con i colleghi della NATO
e col rappresentante russo, Condoleezza Rice, segretario di Stato USA, si è detta
convinta che alla fine i partner europei accetteranno l'installazione dello scudo
spaziale americano antimissili. “A livello ufficiale – ha chiarito Rice – abbiamo
constatato una migliore comprensione del fatto che parliamo della difesa di Europa
e USA dalle minacce degli stati canaglia. Questo scudo non può essere una minaccia
per la dissuasione russa, non è in grado di esserlo”.
- In Iraq, almeno 20
persone sono morte in diversi attentati, mentre la Camera dei rappresentanti degli
Stati Uniti ha fissato la data per il ritiro delle truppe USA dal Paese. Roberta
Moretti:
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Soldati americani
a casa ad aprile 2008: lo ha deciso la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti,
approvando stanotte una legge che stanzia i fondi per le operazioni militari nel Golfo
e in Afghanistan. Il testo sarà votato oggi anche dal Senato. Da parte sua, il presidente
Bush ha fatto sapere che opporrà il veto. E intanto, è stato arrestato
con l’accusa di “intelligenza con il nemico” e relativo favoreggiamento l'ufficiale
statunitense, William Steele, che dirigeva la prigione di Camp Cropper, vicino all'aeroporto
di Baghdad, dove fu detenuto Saddam Hussein. Lo ha reso noto un portavoce dell’esercito
USA. Sul campo, 4 ribelli sono rimasti uccisi in un bombardamento aereo delle forze
statunitensi contro postazioni di al Qaeda a nord di Baghdad. Nell’operazione sarebbero
morte anche due donne e due bambini. Intanto, un ordigno piazzato in un affollato
mercato della capitale ha fatto almeno due vittime. Uccisi, poi, nove soldati iracheni
da un kamikaze che si è fatto esplodere a bordo di un’automobile a un posto di blocco
dell’esercito a Khalis, nella provincia di Diyala, già teatro, questa settimana, di
altri due attentati che hanno provocato numerosi morti. **********
- Stanno bene i due operatori umanitari francesi rapiti il 3 aprile scorso
in Afghanistan dai talebani. Lo ha annunciato un portavoce dei ribelli. Si attendono
ulteriori dettagli. Intanto, dall’Italia rimbalza la notizia che Gino Strada ha deciso
di sospendere le attività di Emergency in Afghanistan fino a che non ci saranno novità
e chiarimenti sul caso di Rahmatullah Hanefi, il collaboratore dell'organizzazione
umanitaria detenuto nelle carceri afghane perché accusato di collusione coi talebani.
A riferirlo è il Corriere della Sera.
- Resta alta la tensione tra Israele
e la guerriglia palestinese, braccio militare di Hamas, anche se la tregua siglata
il 26 novembre scorso sembra continuare a reggere. Tuttavia, il capo del governo israeliano
Ehud Olmert ribadisce che gli attacchi di martedì con razzi Qassam contro il territorio
israeliano non resteranno senza risposta. Il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese,
Abu Mazen, ha comunque sottolineato che gli incontri periodici con il premier Olmert
proseguiranno. Ma quali sono le difficoltà che ostacolano il dialogo israelo palestinese?
Stefano Leszczynski lo ha chiesto a mons. Fouad Twal, coadiutore
del Patriarcato Latino di Gerusalemme:
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R.
– Noi invitiamo al dialogo, perché un vero dialogo ancora non si è avuto. C’è un conflitto
politico con ripercussioni religiose, che non fanno che aggravare la situazione. Il
dialogo per essere fattivo deve basarsi su un minimo di fiducia reciproca. In Palestina,
finora, non c’è fiducia, anzi c’è al contrario una forte sfiducia. Abbiamo bisogno
di un mediatore esterno, che faccia in modo di trasmettere più fiducia tra le due
parti in conflitto, così da poter mettere sul tavolo tutti quei problemi che si ha
ancora paura ad affrontare, come il problema relativo a Gerusalemme, il problema dei
rifugiati, il problema delle frontiere. Sono tutte questioni che ancora non si osano
toccare, perché non c’è una fiducia reciproca.
D.
– Eccellenza, chi potrebbe intervenire in questa crisi?
R.
– Io credo che tutti possono e devono cercare di fare in modo di arrivare ad avere
quello che attualmente manca e quindi una volontà politica di risolvere la situazione.
Gli Stati Uniti non si sono ancora convinti del fatto che l’origine di tutta la crisi
in Medio Oriente è da ricercare proprio nella situazione palestinese, che da 50-60
non ha ancora trovato una soluzione. Tanto più che gli Stati Uniti potrebbero fare
veramente molto nella situazione. L’Europa ha sempre avuto, in verità, un ruolo finanziario
ed economico; l’Europa non ha mai avuto nella crisi del Medio Oriente un ruolo politico.
A livello internazionale avvertiamo, però, che qualcosa si sta muovendo.
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E la situazione resta precaria anche in Libano. Lo ha affermato ai nostri microfoni
il Patriarca di Antiochia dei Maroniti, il cardinale Nasrallah Pierre Sfeir,
in questi giorni a Roma. L'intervista è di Jamal Ward, del Programma arabo
della nostra emittente:
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R. –
La situation actuelle au Liban est inquietante, parce-que comme tout le monde sait
... La situazione attuale in Libano è inquietante perché, come tutti sanno,
è una situazione molto precaria. E’ importante, però, notare una cosa: ed è che in
tutto il Medio Oriente non esiste uno Stato in cui la libertà sia così ampia come
in Libano. E’ praticamente l’unico Paese in cui vi siano ancora delle libertà anche
se, purtroppo, ne è derivato un grande caos. Ma il Libano è libero, e prova ne sia
quanto è accaduto finora: ci sono state delle manifestazioni, i dimostranti hanno
montato delle tende sulla pubblica piazza da tre mesi e nessuno li ha cacciati via
con la forza, e continuano a stare lì. E’ la dimostrazione che in Libano la libertà
è riconosciuta; è solo che – purtroppo, ripeto – la libertà si è trasformata in caos
e questo fa sì che molti giovani lasciano il Libano per trovare lavoro altrove, sia
nei Paesi arabi sia in Paesi molto più lontani, come l’Australia, il Canada e gli
Stati Uniti.
********** - “Gli incontri sul nucleare
iraniano continueranno” perché sono stati compiuti “piccoli progressi” in materia:
lo ha annunciato il capo negoziatore iraniano sul nucleare, Ali Larijani, all’indomani
dell’incontro ad Ankara, in Turchia, con il responsabile della politica estera dell’UE,
Javier Solana. “Il migliore approccio – ha sottolineato Larijani – è di risolvere
tutte le questioni con il negoziato e sulla base delle norme internazionali”. Intanto,
il viceministro dell’Interno di Teheran, Zolghadr, ha fatto sapere che “se fosse attaccato
per il suo programma nucleare, l'Iran reagirebbe colpendo interessi degli USA nel
mondo e Israele”.
- L’Iran potrebbe partecipare alla Conferenza sull’Iraq,
fissata a Sharm el Sheik il 2 e il 3 maggio. La risposta è attesa per i prossimi giorni,
fa sapere il presidente Ahmadinejad. Washington e Teheran potrebbero dunque riavviare
le relazioni diplomatiche interrotte nel 1980, dopo un attacco contro l’ambasciata
degli Stati Uniti e il sequestro di diplomatici americani da parte di studenti islamici.
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Come previsto, le legislative di domenica e lunedì in Siria sono state vinte dal partito
Baath e dalla sua coalizione, ma l’affluenza alle urne non è andata oltre il 56%.
Lo ha affermato stamani a Damasco il ministro dell’Interno, Majeed. Il Fronte Nazionale
Progressista (FNP), coalizione di dieci partiti guidata dal partito Baath, ha ottenuto
172 seggi su 250, lasciando i restanti 78 a candidati indipendenti. Intanto, la Casa
Bianca ha accusato il presidente siriano, Bashar al-Assad, di aver usato metodi intimidatori
durante lo svolgimento delle elezioni. Per il capo di Stato siriano, “si è trattato
di elezioni svolte in modo democratico e trasparente”. Il partito Baath è al potere
in Siria dal 1963.
- In Somalia, le truppe etiopi, appoggiate da quelle governative,
hanno sfondato le linee degli insorti delle Corti Islamiche allo strategico check
point di Balad road, a Mogadiscio nord, in quella che è stata definita “la più violenta
battaglia delle ultime settimane”. Il premier del governo federale di transizione
nazionale, Ali Gedi, ha proclamato la vittoria, mentre stanno per essere avviate trattative.
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Parliamo, ora delle presidenziali in Francia. Né con la Royal né con Sarkozy, il leader
centrista Bayrou non si è schierato e non ha dato le tanto attese indicazioni di voto
per il ballottaggio del sei maggio. “Entrambi rischiano di aggravare i mali della
Francia”, ha dichiarato Bayrou, che annunciato la costituzione di un nuovo Partito
Democratico che sarà presente alle politiche del 10 giugno.
- Il Parlamento
europeo ha votato, a larga maggioranza, una nuova risoluzione a sostegno di una moratoria
universale sulla pena di morte. Una presa di posizione analoga era stata approvata
dall'assemblea di Strasburgo il primo febbraio scorso. - Myanmar (ex Birmania)
e Corea del Nord hanno deciso di ristabilire le relazioni diplomatiche. Lo ha reso
noto Kyaw Thu, viceministro degli esteri birmano, dopo un incontro con il suo omologo
nordcoreano, Kim Yong-il, giunto ieri a Rangoon. La Birmania ruppe le relazioni diplomatiche
con la Corea del Nord dopo un attentato, il 9 ottobre 1983, contro il presidente sudcoreano
allora in carica, Chun Doo-hwan, che era in visita a Rangoon. Il presidente sopravvisse
all'esplosione al Mausoleo dei Martiri, ma 17 persone del suo seguito, fra cui quattro
ministri, furono uccisi. (A cura di Roberta Moretti e Franco Lucchetti)