Giornata di riflessione a Roma su religione e mass media
La stampa deve parlare di religione, ma con competenza e professionalità. E’ stata
animata da questa riflessione la giornata di studio “La religione nella stampa. Cattolicesimo
e altre religioni nei quotidiani laici e confessionali”. L’incontro si è svolto nei
giorni scorsi a Roma presso il Centro Interdisciplinare sulla Comunicazione Sociale
della Pontificia Università Gregoriana. Tra i relatori, esperti di comunicazione,
giornalisti e corrispondenti di quotidiani internazionali del mondo cattolico, ebraico
e musulmano. Sul rapporto media – religione Paolo Ondarza ha sentito Miriam
Diez Bosh, docente di giornalismo all’Università Gregoriana: **********
R.
- Noi siamo convinti che è possibile, anzi che si debba parlare di religione nella
stampa visto che ormai le teorie della secolarizzazione sono una contraddizione, perché
vediamo come la religione è un agente che appare con forza nello scenario internazionale,
dunque ci sembra doveroso parlarne ma parlarne bene; per esempio, parlare della religione
musulmana non è soltanto parlare di fondamentalismo islamico. Bisogna parlare della
religione, dare voce, però darla in modo corretto e poi fare anche una sollecitazione
agli editori sulla mancanza di specializzazione. Un direttore non si permetterebbe
mai di non avere uno specialista in sport o economia e invece molte volte si permettono
di non avere un addetto alla religione.
D. - E’ possibile
fare dialogo interreligioso nella stampa e se sì con quali accorgimenti?
R.
- Noi pensiamo che sia possibile, però le persone che si occupano di religione sulla
stampa devono specializzarsi, soprattutto non devono essere generici, devono cercare
di non parlare ambiguamente e di dare voce alle persone esperte di religione, che
sono i leaders religiosi, ascoltarli, averli come fonte e poi loro come giornalisti
saper spiegare le cose senza generalizzare, perché un grande male del giornalismo
è proprio questa semplificazione; tutto è ridotto a slogan e questo è un pericolo
per il dialogo interreligioso. Poi si potrebbe anche parlare delle persone che si
presentano come esperti di dialogo interreligioso e che poi sono incapaci di dialogare
all'interno della propria religione.
D. - Quanti
e quali pregiudizi o luoghi comuni la stampa ha quando parla di religioni?
R.
- Io direi che uno dei luoghi comuni più impressionanti è ridurre tutto a categorie
politiche, questi schieramenti di destra, di sinistra, progressisti, tradizionalisti...
Poi si fanno molte dicotomie - molto pericolose secondo me - tra quello che è nuovo
e quello che è antico, senza vedere che tutto è molto più intrecciato, molto più complesso.
D.
- Viene in mente anche quanto la stampa ha fatto di negativo nel momento in cui si
è trattato di affrontare la famosa lezione del Papa a Ratisbona...
R.
- E’ un esempio molto luminoso su quanto a volte i giornalisti siano loro stessi incapaci
di cogliere le sfumature di discorsi forti. Noi riteniamo che la lezione di Ratisbona
sia stata o non letta o letta male.