Il ruolo della pastorale negli aeroporti nella lotta religiosa e culturale al terrorismo:
se ne parla al XIII Seminario dei cappellani cattolici
Il terrorismo va combattuto, oltre che con il rafforzamento delle misure di sicurezza,
con una prevenzione basata sul dialogo tra culture, società e religioni. E’ l’assunto
che emerge dall’intervento tenuto questa mattina dal cardinale Renato Raffaele Martino,
presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e degli itineranti,
in apertura del XIII Seminario mondiale dei cappellani cattolici e membri delle cappellanie
dell’aviazione civile. In programma fino a giovedì prossimo, il Seminario si interroga
sul valore specifico del dialogo fra la varie cappellanie d’aeroporto come risposta
al fenomeno della violenza terroristica. Il servizio di Alessandro De Carolis:
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“L’odio
genera odio; il sangue vuole il sangue; la vendetta la vendetta (…)”, contro i quali
vogliamo lanciare “i nostri sentimenti che vogliono essere quelli della fraternità,
quelli della pace, quelli dell’amore in un mondo che resta così disturbato da questa
scena di violenza e di sangue”. Hanno 35 anni ma purtroppo non li dimostrano. Il dilagare
degli eccidi terroristici non hanno permesso a queste parole di Paolo VI di rimanere
a commento di un momento storico poi superato da scenari migliori. Con quelle parole
Papa Montini condannò la strage degli atleti israeliani da parte dei guerriglieri
palestinesi durante le Olimpiadi di Monaco 1972, quando la crudele brutalità del terrorismo
cercò e ottenne una prima enfasi mondiale. E con parole simili, i Pontefici del Novecento
e del Duemila sono stati costretti a condannare altre stragi, diverse per obiettivo,
simili nella loro “filosofia” di fondo: colpire il nemico uccidendo degli innocenti.
Il cardinale Renato Martino ha fatto un ampio repertorio di quanto Giovanni Paolo
II e Benedetto XVI deplorarono in più occasioni quando la cronaca impose all’attenzione
internazionale le immagini di morte del terrorismo. “Il riscorso al terrore come strategia
politica ed economica” è “un vero crimine contro l’umanità. E’ necessario perciò combatterlo”
ed “è un diritto difenderci contro di esso”, ha affermato con decisione il presidente
del Pontiticio Consiglio per la Pastorale dei Migranti davanti alla platea dei cappellani
aeroportuali. C’è però un orizzonte più ampio della sola azione legale e di polizia
entro il quale orchestrare la risposta all’eversione terroristica. Essa, ha osservato
il cardinale Martino, è una “manifestazione ‘culturale’ nel senso che, in effetti”
il terrorismo “è anti-cultura e anti-civiltà. Ha una percezione perversa della realtà,
soffre di complessi xenofobici, disprezza l’altro e abusa in maniera cinica della
religione”. Dunque, ha argomentato il porporato, si combatte il terrorismo anche con
“strumenti culturali” e “alternative non-violente”. Da parte loro, ha concluso, le
grandi religioni - ricercando il dialogo e il rispetto - possono “collaborare tra
loro per eliminare le cause sociali e culturali del terrorismo, insegnando la grandezza
e la dignità della persona e diffondendo una maggiore consapevolezza dell’unità del
genere umano”, laddove il terrorismo preferisce la divisione e il conflitto.
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Come
la storia degli ultimi trent’anni ha drammaticamente insegnato, aerei e aeroporti
sono luoghi particolarmente “sensibili” in chiave di lotta al terrorismo. Di conseguenza,
rilevante e specifica è anche la pastorale dei sacerdoti che assistono chi, negli
scali, lavora o transita. E proprio dai cappellani degli aeroporti è arrivata l’indicazione
ad approfondire il fenomeno del terrorismo, come spiega il segretario del dicastero
dei Migranti, l’arcivescovo Agostino Marchetto, intervistato da Giovanni
Peduto:
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R. – Il Seminario è stato suggerito dai cappellani
stessi. Veda, alcuni atti e minacce terroristici hanno coinvolto aerei e aeroporti,
proprio dove i nostri cappellani svolgono la loro missione. Giorno dopo giorno sono
in contatto con le persone che lavorano negli aeroporti e passano per gli aeroporti
e perciò sono a conoscenza di sensi di paura e insicurezza che esse sperimentano,
e con ragione. Noi, però, vogliamo che vinca non la paura, l’odio e la violenza, ma
la certezza che il male non ha l’ultima parola nelle vicende umane. Crediamo cioè
nella sollecitudine misericordiosa di Dio che sa toccare anche i cuori più induriti,
e soprattutto, che sa trarre sempre il bene anche dal male. Difatti più che mai è
vivo ora il senso della solidarietà e anche il beneficio della cooperazione internazionale.
A questo proposito, l’arcivescovo Angelo Amato, segretario della Congregazione per
la Dottrina della Fede, ci aiuterà con alcune riflessioni filosofiche e teologiche
sul problema del male.
D. - Come intendete trattare l’argomento del Seminario?
R.
- Noi vogliamo prendere in considerazione tre aspetti. Il primo concerne il diritto
di difenderci dal terrorismo. Però dobbiamo fare di tutto per contrastarlo in modo
“altro” – ed è il secondo punto. Efficace a questo proposito è il dialogo, in maniera
particolare tra le religioni. Il terzo aspetto sottolinea che dobbiamo agire concretamente
sul terreno dove svolgiamo la nostra missione pastorale. Perciò abbiamo invitato due
rappresentanti, uno delle Nazione Unite e uno dell’Associazione Internazionale del
Trasporto Aereo (IATA), perché ci illustrano le loro strategie per contrastare il
terrorismo proprio negli aeroporti e sugli aerei, affinché possiamo aiutare le persone
coinvolte a cooperare e a dare loro il necessario sostegno pastorale. Ovviamente vogliamo
assicurarci che i diritti umani di tutti siano rispettati, anche nelle strategie di
contro-terrorismo. Per poterlo e saperlo contrastare con il dialogo, abbiamo chiesto
consiglio al presidente del Dicastero per il Dialogo Inter-religioso, il cardinale
Paul Poupard, e al segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità
dei Cristiani, l’arcivescovo Brian Farrell. Infine, abbiamo proposto ai nostri cappellani
degli aeroporti di Newark (USA) e di Heathrow (Londra) di condividere con noi le loro
esperienze pastorali rispettivamente durante l’attacco alle Torri Gemelle ed altri
obiettivi strategici, e durante la scoperta di un piano di attentato all’aeroporto
di Heathrow. Sono situazioni concrete da cui si possono trarre lezioni su come affrontare
reali condizioni di paura e di violenza con la certezza che il bene tutto vince.
D.
- In che cosa consiste la pastorale dell’Aviazione Civile?
R. - E’ una pastorale
di presenza, annuncio e celebrazione, nonché di consolazione verso chi si trova negli
aeroporti e sugli aerei, dove è impiegato un elevato numero di persone le quali, per
la natura e gli orari del loro lavoro, non riescono ad avere la pastorale ordinaria
offerta dalle loro parrocchie. La Chiesa dunque viene loro incontro e vive con loro
la loro realtà quotidiana. Essa si rivolge anche a coloro che sono detenuti nei centri
di accoglienza negli aeroporti per chi è privo di documenti adeguati o ai senza tetto
che si rifugiano negli aeroporti. La missione si svolge grazie all’opera dei cappellani
e degli operatori pastorali presso la popolazione aeroportuale, per essere lì cuore
e braccia della Chiesa, anche semplicemente con la loro presenza e il loro ascolto.
Sono importanti punti di riferimento in momenti di emergenza, come durante gli attacchi
terroristici. Dove è possibile, si cerca di istituire una cappella, preferibilmente
con la presenza eucaristica, o almeno un luogo di preghiera, dove tutti possono sostare
in silenzio, al di là del rumore e della fretta che caratterizzano un aeroporto. In
circa 150 aeroporti del mondo c’è una cappella o un luogo di preghiera. I cappellani
cattolici sono circa 115 con 50 operatori pastorali, tra diaconi e laici. I diaconi
stanno entrando molto in questo ministero.