"Una tragedia senza senso": il dolore del Papa per la strage in una scuola della Virginia.
L’America s’interroga sulla violenza nella società e sul diritto del possesso delle
armi
Benedetto XVI esprime il suo profondo dolore per la strage in una scuola della Virginia,
dove ieri sono morti 33 studenti. In un telegramma a firma del cardinale segretario
di Stato, Tarcisio Bertone, indirizzato al vescovo di Richmond, Francis X. Dilorenzo,
il Papa definisce l’accaduto “una tragedia senza senso” ed assicura la sua vicinanza
spirituale come anche le sue preghiere per le vittime, le famiglie colpite e tutta
la comunità della scuola. L’America attonita conta dunque nuovamente i morti e i feriti,
questi almeno 15, di una violenza cieca e inaudita. Scenario della follia omicida
è stato questa volta il campus di un Politecnico della Virginia. La polizia ha identificato
l’autore della strage: si tratta di uno studente del campus di origini asiatiche,
che si è tolto la vita sparandosi in volto. Permangono invece dubbi e perplessità
sulla dinamica del tragico accaduto. “L’America è sotto choc”, ha detto il presidente
Bush in un discorso alla nazione. E poco fa, la Casa Bianca ha annunciato che Bush
si recherà oggi al campus in Virginia per una cerimonia di commemorazione. Da New
York, ci riferisce Elena Molinari:
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La
ricostruzione degli eventi è ancora sommaria. Tutto è iniziato poco dopo le 7.00 del
mattino, quando il killer ha sparato per la prima volta in un dormitorio della grande
università, che ospita oltre 26 mila studenti ed è composta da 100 edifici in mezzo
al verde. La polizia ha, quindi, commesso il fatale errore di credere che avesse lasciato
il campus. Invece, alle 9.40, il killer - descritto come un giovane di 20 anni, asiatico,
con una giacca nera di pelle – con armi automatiche ha colpito ancora alla Facoltà
di Ingegneria, sparando questa volta prima sulle persone incontrate e, poi, chiudendosi
con alcuni studenti in un’aula ed uccidendoli uno ad uno.
Da
New York, Elena Molinari, per la Radio Vaticana.
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canto suo, il presidente del Brady Center per la prevenzione della violenza
con armi da fuoco, Paul Helmke, ha sottolineato che le autorità americane non hanno
adottato alcuna misura per mettere fine alla violenza nelle scuole. Otto anni dopo
la strage alla Colombine High School in Colorado e sei mesi dopo l’attacco
ad una scuola amish in Pennsylvania, commenta amaramente Helmke “nulla è cambiato”.
Un’analisi condivisa anche dal prof. John Harper, docente di politica estera
americana alla John Hopkins University di Bologna, intervistato da Alessandro
Gisotti:
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R.
– Ho avuto una sensazione inevitabile di rassegnazione. Il fatto è che presso certi
settori della società americana c’è una specie di fissazione ideologica sul possesso
delle armi. E’ visto come un diritto quasi naturale e non solo proclamato dalla Costituzione.
C’è attualmente una potentissima lobby che sorveglia molto attentamente qualsiasi
tentativo, anche all’indomani di incidenti come questo, per prevenire cambiamenti
sostanziali. C’è rassegnazione anche alla luce di quello che è successo sei mesi fa,
dopo la strage in Pennsylvania, dove furono uccisi una dozzina di studenti
amish, ed anche alla luce della reazione pubblica e politica dello Stato di Pennsylvania
poiché non fu previsto alcun cambiamento sostanziale.
D.
– Quali sono le domande che nella società americana ci si pone di fronte a stragi
come questa, un’eruzione di violenza a cui, purtroppo, la società americana sembra
- come lei stesso sottolinea – quasi essersi abituata?
R.
– Sì, purtroppo. Per quanto mi risulta la stampa americana, questa mattina, così come
la gente si pone domande sul perché non c’è stata maggiore sicurezza, perché non sono
presenti più metal detector, perché le autorità universitarie non hanno chiuso subito
il campus? Vengono poste questo tipo di domande anziché domandarsi perché questo giovane
ha fatto quello che ha fatto. Perché è così facile ottenere delle armi così micidiali,
che sono poi state usate per compiere questa strage? Naturalmente ci sarà ora una
riflessione più approfondita come sempre avviene, ci sarà un dibattito riguardo ai
motivi di una violenza così diffusa negli Stati Uniti. Ma la mia esperienza mi insegna
che non c’è da aspettarsi dei grandi e profondi cambiamenti culturali.
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In
queste ore, sono in molti, anche al di fuori degli Stati Uniti, a chiedersi dove nasca
questa violenza, che così frequentemente erompe nella società americana. Alessandro
Gisotti ha girato la domanda al sociologo Sabino Acquaviva:
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R. – Dietro, indubbiamente, c’è la storia dell’America. Noi sappiamo che
l’epoca che viene definita come la “Conquista del West” è un continuo avanzare nei
territori delle prime colonie inglesi e poi degli Stati Uniti d’America, dall’Atlantico
verso il Pacifico, cosa che è avvenuta combattendo contro gli indiani con guerre successive.
Quindi, in America c’è un uso delle armi legato alla maniera in cui si è formata la
nazione americana. A questo fattore culturale storico si legano poi i problemi soliti,
che ci sono anche da noi: la crisi dei valori, della famiglia e così via.
D.
– La società americana colpisce per fenomeni che appaiono contraddittori: è molto
competitiva, ma anche molto generosa, profondamente religiosa, ma anche molto violenta…
R.
– Ancora una volta è la risposta è nella storia. Gli Stati Uniti sono nati con i famosi
Padri Pellegrini, cioè con una formazione di esaltazione dei valori religiosi e di
contestazione della società da cui provenivano. Quindi, è uno stato d’animo misto:
contestazione e valorizzazione dei valori antichi, mescolato al problema della frontiera
americana e della conquista del West. Da questa scena viene fuori l’America di oggi,
che come quella di ieri è molto contraddittoria.
D.
– Ecco, da una parte, l’individuo nella società americana sembra molto portato alla
competizione, poi, però, come Toqueville insegna – e quindi fin dalle sue origini
– l’America si caratterizza per una presenza di comunità intermedie…
R.
– Sì, da un lato c’è l’individualismo, che valorizza i comportamenti liberi. Dall’altro,
c’è una società tecnico-scientifica, che richiede l’organizzazione, la coesistenza,
la collaborazione. E’ un equilibrio, quindi, precario, difficile, che si evolve nel
tempo. Anche perché la società americana è una società in rapida evoluzione.