Il dramma invisibile degli oltre 25 milioni di profughi interni nel mondo
Sono oltre 25 milioni i profughi interni nel mondo. Si tratta di uomini, donne e bambini
sfollati dai propri villaggi o città a causa di guerre e carestie e costretti, il
più delle volte in enormi campi profughi. La fuga tuttavia non garantisce loro la
sopravvivenza e il ritorno alle proprie case resta spesso un miraggio. I dati relativi
a questo drammatico fenomeno sono stati resi noti dal Consiglio Norvegese per i Rifugiati
in occasione della conferenza dell’ACNUR, l'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati,
apertasi a Ginevra sulla situazione dei rifugiati e dei profughi in Iraq. Stefano
Leszczynski ha intervistato Laura Boldrini, portavoce dell’ACNUR in Italia:
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R.
– Purtroppo è anche una emergenza che ha costretto 4 milioni di persone a lasciare
le proprie case. Di questi 2 milioni sono all’interno dello stesso Iraq e, quindi,
si tratta di sfollati interni, mentre altri 2 milioni si sono riversati fuori dal
Paese e specialmente nei Paesi limitrofi come Siria e Giordania, che in questo momento
stanno facendo fronte con una politica di porte aperte alla situazione. L’obiettivo
della conferenza dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati è proprio quello di sollecitare
più interesse da parte della Comunità internazionale sulle vicende umanitarie e riportarle
all’attenzione nell’agenda di chi può poi dare un contributo importante e determinante.
D. – Secondo un recente Rapporto del Consiglio norvegese
per i rifugiati, le persone profughe interne ai propri Paesi sarebbero addirittura
25 milioni nel mondo…
R. – Queste persone rappresentano
veramente l’anello debole, perché sono le più difficili da proteggere e le più difficili
anche da assistere. Per loro non esiste, infatti, una Convenzione internazionale come
esiste per i rifugiati che fuggono in un altro Paese. A volte, inoltre, i regimi non
hanno interesse che i civili, che vengono visti magari come sostenitori dei gruppi
avversi, vengano aiutati dagli Organismi internazionali e dalle ONG. Anche questa
è, quindi, una situazione che deve essere assolutamente posta come prioritaria, perché
assistere gli sfollati interni è oggi l’operazione più difficile per chi si occupa,
appunto, di aiuti umanitari.
D. – Gli sfollati interni
continuano spesso a rimanere nei campi profughi, anche quando le crisi sono terminate:
è difficile farli tornare a casa?
R. – E’ difficile
farli tornare a casa proprio perché spesso gli sfollati sono il risultato dei conflitti
su base civile. Quando, purtroppo, si è passati attraverso una epurazione e per cui
alcuni territori vengono considerati etnicamente puliti è chiaro che poi è più difficile
riportare queste persone nelle proprie abitazioni che sono state occupate da altri;
così come riportare i contadini alle proprie terre, che sono nel frattempo state occupate
da altri.
D. – Quali sono gli sfollati che non vengono
più ricordati, quelli che nessuno sa più che esistono?
R.
– Guardi io credo che ci sia l’imbarazzo della scelta ed una per tutte sono gli sfollati
della Colombia. Si tratta, infatti, di un conflitto che va avanti da oltre 40 anni
ed è un conflitto veramente crudele in cui anche le popolazioni indigene, più a rischio
di estinzione, vengono sradicate dai loro territori, dai loro luoghi ancestrali. Qui
parliamo di circa 4 milioni di sfollati interni.