Save the Children: insufficiente l'aiuto dei Paesi ricchi per l'istruzione infantile
dei Paesi in guerra
Le nazioni ricche stanno fallendo nell’aiuto a 39 milioni di bambini di 28 Paesi in
guerra nel mondo. E’ insufficiente l’impegno finanziario di 20 su 22 donatori. L’Italia
è ultima in classifica pur avendo destinato ai Paesi in guerra, la quota più significativa
tra le nazioni ricche. Sono i dati del rapporto “Scuola, ultima della lista” pubblicato
oggi in tutto il mondo da “Save the Children”, nell’ambito della Campagna Internazionale
“Riscriviamo il Futuro”. Secondo l’organizzazione sono ancora 77 milioni i bambini
senza istruzione nel mondo. Paolo Ondarza ne ha parlato con Valerlo Neri,
direttore di “Save the Children” Italia:
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R.
– Sono 39 milioni i bambini che noi valutiamo vivono nei Paesi che sono circa 28,
Paesi instabili, per i quali non c’è nessuna possibilità di accedere all’educazione.
D.
– Secondo lei, come mai le nazioni in guerra sono quelle che ricevono meno aiuti dai
Paesi donatori?
R. – Perché tutti i governi e le
grandi agenzie internazionali che si occupano di aiuti allo sviluppo, se tutte le
cose non sono facili, si tirano un po’ indietro. Ma non è che ci possiamo fermare
perché non è semplice! Noi di “Save the Children”, ma anche tante altre ONG nel mondo,
con questi Paesi in guerra ci lavoriamo tutti i giorni, e noi le scuole le facciamo,
noi i bambini li mandiamo a scuola, e se noi ce la facciamo, che siamo comunque un’organizzazione
privata, perché non possono farcela i governi?
D.
– Il Rapporto viene pubblicato alla vigilia di importanti appuntamenti, come il meeting
annuale della Banca Mondiale e la Conferenza sull’educazione per tutti ...
R.
– Chiediamo di incrementare gli aiuti per l’educazione. Il mondo sa, ma deve ricordarsi
meglio nel momento di mettere mano al portafoglio, che l’educazione è l’unico, vero
strumento che può portare fuori il mondo povero dalla dipendenza continua dai Paesi
ricchi. Servirebbero nove miliardi di dollari all’anno per riuscire in questo obiettivo;
oggi siamo a tre miliardi di promesse e un miliardo e mezzo realmente dati. Poi chiediamo
che almeno metà dei fondi siano destinati proprio ai Paesi instabili, in guerra o
subito dopo il conflitto, perché è proprio in questi Paesi che l’educazione potrebbe,
se lasciata fiorire, cambiare le cose. In Afghanistan, noi abbiamo scuole nelle quali
facciamo di tutto per portare le bambine, anche se i talebani poi sparano su queste
scuole. Però, pensate che soluzione sarebbe riuscire a portare a scuola bambine e
bambini di quel Paese! Via via il Paese uscirebbe fuori da questo orrore che vive
tutti i giorni e potrebbe tornare ad essere un grande Paese che si svilupperà nel
futuro.
D. – Infine, chiedete che una buona parte
delle risorse messe a disposizione per quelle situazioni considerate di emergenza,
vengano destinate anche all’educazione ...
R. – Se
succede un terremoto, se scoppia anche una guerra, se arriva anche uno tsunami, subito
dopo il momento drammatico dell’evento, per un bambino il fatto che si ricostruisca
immediatamente una situazione di apparente normalità, fra cui una tenda che faccia
da scuola, è un momento essenziale.