La Via Crucis al Colosseo: il Papa ricorda che il grande peccato dell'uomo è l'insensibilità
alla sofferenza degli altri. Dio, invece, si è fatto vicino al nostro dolore
La passione di Gesù consente di vedere quella di tutti i sofferenti. Così ieri sera
Benedetto XVI al termine della Via Crucis al Colosseo. Proposte dal biblista mons.
Gianfranco Ravasi, le meditazioni hanno offerto uno sguardo sull’umanità ferita di
oggi. Ma il nostro Dio non è lontano, ha detto il Papa, si è fatto carne per essere
vicino al dolore dell’uomo. Il servizio di Tiziana Campisi.
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(musica)
Il
percorso di Gesù verso il Calvario ci insegna a vedere la sofferenza col cuore. Dio
si è fatto uomo per darci un cuore di carne e risvegliare in noi l’amore per i sofferenti
e i bisognosi:
“Seguendo Gesù nella via della Sua passione vediamo non soltanto
la passione di Gesù, ma vediamo tutti i sofferenti del mondo ed è questa la profonda
intenzione della preghiera della Via Crucis: di aprire i nostri cuori e aiutarci a
vedere con il cuore”.
E’ un viaggio nel dolore la Via Crucis, nel male
e nella morte; ma Benedetto XVI vuole insegnare che nel meditarla si apprende il paradosso
del dolore: viverlo col cuore schiude all’amore. E se la vita serba tribolazioni è
ancora Gesù a soccorrere l’uomo:
“Il nostro Dio non è un Dio lontano,
intoccabile nella sua beatitudine: il nostro Dio ha un cuore. Anzi ha un cuore di
carne, si è fatto carne proprio per poter soffrire con noi ed essere con noi nelle
nostre sofferenze. Si è fatto uomo per darci un cuore di carne e per risvegliare in
noi l’amore per i sofferenti, per i bisognosi”.
Le meditazioni di mons.
Gianfranco Ravasi lasciano intravedere nelle vicende e nei personaggi della strada
verso la Croce il peccato che indurisce il cuore dell’uomo. Così, nel bacio di Giuda
si possono riconoscere le “infedeltà”, le “apostasie” e gli “inganni” di tutti i secoli,
in Gesù tradito tante “persone sole, dimenticate, vecchi, malati” e “stranieri”, mentre
Pietro, nel rinnegare il Maestro, condensa “tante storie di infedeltà e di debolezza”.
La sua voce è quella di molti di noi, “che ogni giorno consumiamo piccoli tradimenti”,
che ci proteggiamo “dietro giustificazioni meschine lasciandoci possedere da paure
vili”.
(lettore) Quinta stazione: Gesù è giudicato da Pilato: "Sotto
la pressione dell’opinione pubblica Pilato incarna un atteggiamento che sembra dominare
nei nostri giorni, quello dell’indifferenza, del disinteresse, della convenienza personale.
Per quieto vivere e per proprio vantaggio, non si esita a calpestare verità e giustizia".
Ancora
un cuore chiuso in se stesso: quello di Pilato; la sua indifferenza è quella di tanti,
che porta alla morte lenta della vera umanità e che lascia poco spazio alla verità:
(lettore): "Come
spesso facciamo anche noi, Pilato, come alibi, lancia l’eterna domanda tipica di ogni
scetticismo e di ogni relativismo etico: Che cos’è mai la verità?”.
Le
riflessioni di mons. Ravasi inducono ciascuno a guardare la propria interiorità e
lo sguardo di Benedetto XVI, al termine delle stazioni, è tutto concentrato sul cuore
dell’uomo, cuore che il Papa invita ad aprirsi alla solidarietà, per superare quello
che già nei primi secoli del cristianesimo era definito il peccato più grande:
“I
Padri della Chiesa hanno considerato come il più grande peccato del mondo pagano la
insensibilità, la durezza del cuore e amavano la profezia del profeta Ezechiele: ‘Vi
toglierò il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne’. Convertirsi a Cristo, divenire
cristiano voleva dire ricevere un cuore di carne, un cuore sensibile per la passione
e la sofferenza degli altri”.
Accanto al Santo Padre, che ha portato
la Croce durante la prima e la quattordicesima stazione, si sono alternati, fra gli
altri, una giovane congolese, una famiglia romana, un giovane cileno, una ragazza
cinese e due frati francescani della Custodia di Terra Santa. Le loro etnie hanno
offerto l’immagine dei diversi volti dell’umanità, le cui ferite sono tutte nelle
cadute di Gesù sotto il peso della Croce:
(lettrice): "In quelle cadute
c’è anche la storia di tutte le persone desolate nell’anima e infelici, ignorate dalla
frenesia e dalla distrazione di chi passa accanto. In Cristo piegato sotto la croce
c’è l’umanità malata e debole".
Ma Gesù che si alza e avanza, talvolta
irrompe nelle strade di questa umanità: è il mistero dell’incontro con Dio che attraversa
all’improvviso tante vite, come quella del Cireneo, emblema del misterioso abbraccio
tra la grazia divina e l’opera umana. Nelle tappe della Via Crucis, scorre il passato,
ma le vicende raccontate nella sua tradizione trovano eco in svariate realtà di oggi.
E così che l’incontro di Gesù con le donne di Gerusalemme ci offre una prospettiva
attuale:
(lettore): "Accanto a lui noi ora immaginiamo anche tutte quelle
donne umiliate e violentate, quelle emarginate e sottoposte a pratiche tribali indegne,
le donne in crisi e sole di fronte alla loro maternità, le madri ebree e palestinesi
e quelle di tutte le terre in guerra, le vedove o le anziane dimenticate dai loro
figli…"
Le donne di Gerusalemme sono il segno della tenerezza e della
commozione, insegnano la bellezza dei sentimenti, la compassione che non ha vergogna
di mostrare lacrime, di donare una carezza e di offrire consolazione a chi soffre.
E proprio ai sofferenti è andato l’ultimo pensiero del Papa che ha chiesto preghiere
per chi vive nel dolore:
“Preghiamo in questa ora il Signore per tutti
i sofferenti del mondo. Preghiamo il Signore perché ci dia realmente un cuore di carne,
ci faccia messaggeri del Suo amore non solo con parole, ma con tutta la nostra vita”.