Rievocata in un libro la storia dei martiri cristiani in Cina durante il regime maoista
“Noi sappiamo bene che i nostri fratelli e sorelle in Cina hanno dovuto affrontare,
nell’arco di questi 30 anni prove difficili e prolungate. In quelle dure sofferenze
essi hanno dato la prova della loro fedeltà in Cristo e alla sua Chiesa”. Così Giovanni
Paolo II invitava, nel giorno dell’Epifania del 1982, i vescovi di tutto il mondo
a pregare per la Chiesa in Cina. Gerolamo Fazzini, condirettore della rivista
del PIME Mondo e Missione, ha ricostruito, attraverso le storie di preti e laici cinesi
sopravvissuti ai campi di prigionia, le persecuzioni subite durante il regime maoista
a causa della fede. Ne è uscito "Il libro rosso dei martiri cinesi". Antonella
Villani gli ha chiesto cosa accomuna queste testimonianze:
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R.
- Sono due elementi: da un lato la brutalità e la violenza del regime maoista e della
persecuzione da esso adottata nei confronti dei cristiani e in generale di tutti gli
oppositori politici e culturali. Un secondo dato è la grande fede di tutte le persone
che nel libro parlano. Fede che, appunto, essi testimoniano all’interno di un contesto
difficilissimo, fatto di prove fisiche, di torture, di violenze psicologiche. Prove
che, non dimentichiamolo, spesso mettono la fede dei protagonisti a durissima prova.
Queste persone arrivano spesso a chiedersi dov’è finito Dio, vivono l’angoscia, vivono
esattamente tutte le difficoltà, i timori e le titubanze che avremmo vissuto noi,
però le superano esattamente in valore della loro fede, davvero grande.
D.
- C’è un episodio che l’ha colpita particolarmente?
R.
- A un certo punto, in uno dei diari di questi preti rinchiusi per tanti anni in detenzione,
si narra la conversione di un compagno di prigionia di questo prete che si avvicina
al cristianesimo precisamente vedendo la grande serenità con la quale il suo compagno
viveva la sua situazione. E’ paradossale, il campo di lavoro, nella logica maoista,
aveva il compito di forgiare l’uomo nuovo nel senso dell’ideologia e invece qui vediamo
l’uomo nuovo che nasce dal Vangelo e rinasce alla vita eterna proprio nel posto che
meno sembrerebbe indicato perché tutto questo accada.
D.
-Le storie dei martiri diventano quindi una lezione di vita e di fede...
R.
- Credo che la forza di queste testimonianze sia proprio nella loro autenticità e
nella loro precisione anche del racconto, dei dettagli di vita che vengono espressi.
Dall’altro lato, viene fuori anche la grande statura umana di queste persone ma anche
la loro fede continuamente verificata. Tutto questo colpisce molto perchè leggendo
si è portati ad immedesimarsi, anche se poi tutti i lettori sperimenteranno alla fine
la grande distanza tra la loro fede eroica e la nostra un po’ accomodante.
D.
- Queste storie si riferiscono a una Cina di 50 anni fa. Qual era la situazione in
quel periodo?
R. - Si riferiscono in generale all’epoca
maoista che va dagli anni ’50 alla fine degli anni ’70. In tutto quel periodo la persecuzione
anticristiana è stata molto violenta. Decine di migliaia di persone sono state incarcerate,
hanno subito violenze, molte sono state uccise, è impossibile fare un conto preciso
dei martiri in questo senso. Quello che è certo è che si è cercato per vari anni di
fare tabula rasa della Chiesa cattolica in Cina e il potere ha cercato con la forza
di mettere la parola fine sul cristianesimo in terra cinese ma proprio la sofferenza
e il martirio - come è stato sempre un po’ nella storia della Chiesa - ha rafforzato
la fede e ha fatto germinare nuove generazioni di credenti.
D.
- Oggi rispetto al passato che cosa è cambiato?
R.
- Non esiste più la persecuzione nei termini in cui la si percepisce leggendo il libro
rosso dei martiri cinesi. Quello che non è cambiato è il presupposto dell’azione del
governo e del partito che è il suo braccio, e cioè la pretesa del governo di controllare
tutte le espressioni pubbliche della fede. La legge cinese prevede un generico diritto
di credere ma nel chiuso della propria stanza, mentre invece l’espressione pubblica
della fede è soggetta al controllo dello Stato e quindi non si tratta più di un riconoscimento
di un diritto soggettivo inalienabile della persona ma di una concessione che viene
data dalla Stato.