La Via Crucis al Colosseo, presieduta da Benedetto XVI, con le meditazioni di mons.
Gianfranco Ravasi
“Rivivere la realtà aspra e cruda di una vicenda aperta però alla speranza, alla gioia,
alla salvezza”. Con questi sentimenti mons. Gianfranco Ravasi, prefetto della Biblioteca
Ambrosiana, ha scritto le meditazioni che guideranno stasera alle 21.15, al Colosseo,
il tradizionale rito della Via Crucis del Venerdì Santo, presieduto da Benedetto XVI.
Il Papa porterà la croce alla prima e all’ultima stazione: nelle altre stazioni si
alterneranno, oltre al cardinale vicario Camillo Ruini, alcuni giovani provenienti
da Cina, Repubblica Democratica del Congo, Angola, Corea e Cile, una famiglia italiana
e due religiosi francescani della Custodia di Terra Santa. L’evento sarà seguito in
diretta mondovisione da 67 televisioni di 41 Paesi. Anche la nostra emittente si collegherà
in radiocronaca diretta a partire dalle 21.05, con commenti in italiano, inglese,
francese, spagnolo e tedesco. Ma in che modo l’itinerario spirituale di questa Via
Crucis ha preso forma e parola nelle meditazioni di mons. Ravasi? Lo descrive in questo
servizio Alessandro De Carolis:
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(musica)
Quattordici
soste, fatte di sangue e scudisciate, oltraggi e lacrime, pena fisica e dolore morale.
Quattordici icone dove la bestialità si contende con la misericordia, la solidarietà
grida accanto alla violenza, quasi che in una stessa unità di tempo e spazio il meglio
e il peggio della natura umana si fossero schierati fianco a fianco per difendere
o aggredire il divino, che appare alla loro mercé. E’ lo scenario di una “tarda mattinata
primaverile di un anno tra il 30 e il 33 della nostra era”, come scrive mons. Ravasi,
presentando le sue meditazioni sulla Via Crucis, vicenda “aspra e cruda”, rivissuta
con la partecipazione del cristiano e l’occhio dello studioso. In modo costante, dalla
penombra dell’Orto degli Ulivi, che accompagna l’agonia e il tradimento di Gesù, alla
deposizione nel Sepolcro - ultima attesa prima di un mattino di Pasqua che cambierà
per sempre la storia umana - mons. Ravasi entra ed esce dalla cronaca della salita
al Calvario per rapportarsi con i vari Golgota della nostra epoca. La folla che gode
o soffre per lo scempio del Nazareno non è poi tanto diversa, sembra dire, da quella
che alimenta o combatte le piaghe sociali del 21.mo secolo. Così, il Cristo chino
in preghiera, solo e angosciato prima dell’arresto, è il riflesso di quei soli, scrive
mons. Ravasi, in “attesa davanti a una parete spoglia o a un telefono muto, dimenticati
da tutti perché vecchi, malati, stranieri o estranei”. Oppure Pilato, che “incarna
- dice - un atteggiamento che sembra dominare ai nostri giorni, quello dell’indifferenza,
del disinteresse, della convenienza personale”. Sulla faccia del governatore romano
brilla non tanto l’immoralità - che almeno genera un sussulto - quanto la “pura amoralità”,
quella che “paralizza la coscienza”. O ancora il momento della compassione dolente,
con le donne che si fanno incontro al loro Rabbi ormai sfigurato, colui che “superando
convenzioni e pregiudizi” aveva dialogato con loro. Ecco che sulla Via della Croce,
osserva mons. Ravasi, “si stringe dunque un mondo di madri, di figlie e di sorelle”:
immagine delle madri ebree e palestinesi, e di tutte le donne violentate, emarginate,
“in crisi e sole di fronte alla loro maternità”, “sottoposte a pratiche tribali indegne”.
Singolare e inquietante la descrizione che mons. Ravasi di ciò che solitamente davanti
alla Croce esiste come rumore di fondo: la folla. E’ “il ritratto della superficialità,
della curiosità banale”, di chi cerca emozioni forti. “Un ritratto - scrive l’autore
delle meditazioni - nel quale si può identificare anche una società come la nostra
che sceglie la provocazione e l’eccesso quasi come una droga per eccitare l’anima
ormai intorpidita, un cuore insensibile, una mente offuscata”. Ma calata l’eccitazione
del sangue, ora che la morte ha chiuso gli occhi di Gesù è essa stessa ad avere le
ore contate. “La croce e il sepolcro - commenta mons. Ravasi - non sono stati l’estuario
ultimo” della storia di Gesù di Nazareth, “bensì lo è stata la luce della sua Risurrezione
e della sua gloria”.