La Via Crucis al Colosseo: le meditazioni di mons. Ravasi
Domani sera il Papa presiederà la tradizionale Via Crucis al Colosseo. Quest’anno
le meditazioni sono state affidate a mons. Gianfranco Ravasi, prefetto della
Biblioteca Ambrosiana. Giovanni Peduto gli ha chiesto quale taglio abbia voluto
adottare per i suoi testi:
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R.
– Il taglio che io ho voluto adottare è evidentemente diverso da quello che era stato
scelto da altri autori che mi hanno preceduto e che hanno preferito, magari, il taglio
più morale, in alcuni casi più esistenziale, in altri casi - come Mario Luzi – il
taglio poetico, anzi, era Cristo stesso che raccontava la sua passione; oppure, anche
lo stesso cardinale Ratzinger il quale aveva voluto proporre una sorta di riflessione
teologica che artigliasse però quasi l’esistenza di colui che ascoltava. Io ho adottato
un taglio narrativo-meditativo. Essendo di formazione un esegeta, ho voluto per certi
versi riproporre ancora il testo nelle sue sfumature, quando il testo immediatamente
lo si conosce ma forse non lo si conosce nelle sue iridescenze. Di fatti, la trama
delle 14 stazioni è quella del Vangelo della narrazione della Passione secondo il
Vangelo di Luca, che è il Vangelo che viene letto nella liturgia quest’anno. E dall’altra
parte, però, ho voluto introdurre una dimensione meditativa-contemplativa che permetta
di vedere come i passi sanguinanti di Cristo ancora oggi, in un certo senso, striano,
lasciano delle scie sulle strade del nostro mondo attuale.
D.
– Sono tante, oggi come ieri, le Vie Crucis dell’umanità e Dio ha voluto assumerle
su di sé ...
R. – Ecco, questo è proprio anche nella
linea di quanto dicevo poco fa. I percorsi di Cristo sono in realtà i percorsi del
Figlio dell’Uomo, espressione biblica che significa sì l’umanità, ma significa anche
la sua trascendenza. Nella Bibbia, questo termine è un termine che ha delle risonanze
ulteriori, divine, diremmo. E per questo motivo, noi dobbiamo guardare – secondo la
teologia cristiana – la figura di Cristo da un lato come profondamente fratello dell’umanità.
Non dimentichiamo mai che il racconto della passione negli evangelisti tenta quasi
di raccogliere tutto lo spettro oscuro della sofferenza: dalla sofferenza fisica,
alla paura della morte, all’abbandono degli amici, al tradimento fino a quel momento
supremo che è persino il silenzio di Dio. Cristo, quindi, veramente è nostro fratello
di tutte le vie crucis dell’umanità, di tutte le sue sofferenze. Io proprio nelle
situazioni ho voluto anche evocarne alcune; dall’altra parte, però, non bisogna dimenticare
che egli è il Figlio di Dio anche quando è ridotto ad essere soltanto un cadavere
manipolabile, quando è sceso nell’interno della tomba, del sepolcro ... Ebbene, proprio
perché è Figlio di Dio, passando nella galleria oscura del nostro dolore, della nostra
morte, depone in essa una scintilla, un germe di eternità, di vita, di speranza, di
Pasqua. Per questo, dolore e morte – dopo il passaggio di Cristo, del Figlio di Dio
– non sono più uguali a prima.
D. – Cosa vuol dire
il grido di Gesù: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”?
R.
– Certo, dobbiamo dire che a prima vista sembrerebbe essere quella di Cristo – almeno
così come la narrano Matteo e Marco, con questo ultimo grido – quasi, diremmo noi,
una brutta morte. Dio grida così è poi – l’evangelista annota – “lanciato un forte
urlo, spirò”. In realtà, questa citazione rappresenta veramente anche una desolazione
estrema, che non è disperazione ma è una desolazione estrema perché Cristo sperimenta
ciò che sperimentiamo anche noi, in alcuni momenti della nostra vita e forse anche
nel momento ultimo, estremo, alla frontiera estrema della nostra esistenza, che è
la morte. In quel momento sperimenta il silenzio del Padre, che per Lui, poi, era
il massimo possibile della aderenza alla nostra umanità. Tuttavia, non bisogna mai
dimenticare che secondo la tradizione ebraica, quando si cita l’incipit, l’inizio
di un salmo, di un testo biblico, si vuole evocare tutto il suo testo, tutto il suo
contenuto. Ebbene, questo Salmo 22,21 della liturgia è il salmo che comincia con questo
urlo ma finisce con una sorta di Te Deum, di canto di gioia: in pratica, apre già
l’alba della Pasqua.
D. – Nietzsche ha affermato
che “Dio è morto”. Come legge lei oggi questa asserzione?
R.
– Questa frase di questo filosofo, di Nietzsche, che è stato da un lato fortemente
anti-cristiano però, dall’altra parte, ha continuamente fatto i conti con il cristianesimo
– non dimentichiamo che una delle sue opere è proprio intitolata “L’Anticristo” –
ebbene, ci insegna soprattutto una cosa. Da una parte, quando egli grida: “Dio è morto!”,
lui anche aggiunge che noi l’abbiamo ucciso, e le nostre mani sono ancora insanguinate,
e chi grida, chi lancia questo urlo lo fa non in maniera gloriosa, ma in maniera quasi
disperata. Tant’è vero che subito dopo egli se ne va, nell’immagine che questo autore,
questo filosofo suppone, con una lampada e questa lampada la prende e la infrange
a terra, e l’Uomo piomba nella solitudine. Ecco: direi che l’uomo contemporaneo, da
un lato, spesso è stato convinto di poter eliminare Dio, come diceva un poeta, un
altro poeta tedesco quasi contemporaneo di Nietzsche, cioè Heine, diceva: “Non sentite
la campanella? Si portano gli ultimi sacramenti a un Dio che muore!”. Si è convinto
di poter ormai seppellire Dio, allontanarlo. In realtà, Dio è continuamente negli
incroci delle nostre strade, e quel Dio che noi abbiamo voluto cancellare tante volte,
rimane in noi. In molti, nella nostalgia, ma rimane soprattutto con una presenza che
all’improvviso si manifesta. Non dimentichiamo mai che lo poniamo quasi a suggello
di una riflessione sulla Via Crucis; non dimentichiamo mai quelle parole che cita
Paolo nella Lettera ai Romani, al capitolo X, quando egli cita a sua volta Isaia stupendosi,
perché in Isaia Dio dice queste parole: “Io, il Signore, mi sono fatto trovare anche
da quelli che non mi cercavano. Io ho risposto anche a quelli che non mi interpellavano,
che non mi invocavano”. Ed è questa la grande speranza: quel Dio morto in realtà è
ancora accanto a noi, negli incroci delle nostre strade, pronto a manifestarsi come
Gesù di Nazareth con un volto umano e quotidiano, con una salvezza trascendente.
********** Com’è
tradizione, nelle parrocchie del mondo viene raccolta oggi la “Colletta pro Terra
Sancta”. Per accompagnare l’iniziativa e sottolinearne l’urgenza, la Congregazione
per le Chiese orientali ha indirizzato una particolare Lettera ai Vescovi del mondo,
per sostenere i bisogni delle realtà cattoliche della regione mediorientale. Sulle
finalità dell’iniziativa, ascoltiamo l’arcivescovo Antonio Maria Vegliò, segretario
per la Congregazione delle Chiese orientali: