La partecipazione del Papa al dramma della popolazione somala: ce ne parla mons. Giorgio
Bertin
La cessazione immediata delle ostilità da parte di tutte le forze coinvolte. È l’appello
lanciato ieri al Cairo dal Gruppo di Contatto per la Somalia, riunitosi presso la
Lega Araba. L'organismo, costituito tra l’altro anche da rappresentati di ONU e Unione
Africana, ha invocato la fine degli scontri tra truppe governative appoggiate dall’Etiopia
e miliziani delle Corti islamiche. Anche il Papa ha espresso la sua profonda preoccupazione
per quanto sta succedendo nel Paese africano. Benedetto XVI ha disposto che la colletta
della Messa in Coena Domini, che celebrerà domani, Giovedì Santo, nella Basilica di
San Giovanni in Laterano, venga destinata alla Caritas Somalia di Baidoa. Giancarlo
la Vella ne ha parlato con mons. Giorgio Bertin, amministratore apostolico
di Mogadiscio: **********
R. –
Quando il Santo Padre ha scelto quest’opera caritativa si è pensato fosse un segnale
mandato al mondo, perchè ci fosse una maggiore attenzione per quanto stava succedendo
in Somalia e per quanto è successo in questi ultimi 16 anni. Noi viviamo questa attenzione
con senso di gratitudine e vorremmo che la comunità internazionale esercitasse di
più il suo potere per riportare una pace sicura in Somalia. Bisogna tener conto che
la Somalia è un Paese in questo momento in totale anarchia. Sarà soprattutto nei prossimi
giorni, dopo questo gesto molto significativo del Giovedì Santo, che questa vicinanza
del Santo Padre sarà percepita maggiormente.
D. –
Mons. Bertin, c’è poi anche l’emergenza umanitaria che comincia a farsi pressante,
la gente fugge in massa dalle violenze…
R. – Certamente
la gente sta fuggendo in massa da Mogadiscio. Quindi, il problema sarà come poter
raggiungere queste persone nelle regioni limitrofe a Mogadiscio. E’ un compito estremamente
difficile. Bisognerà appunto sapere per lo meno circoscrivere i combattimenti e l’insicurezza
e poi si potranno trovare altre vie per poter raggiungere tutti questi sfollati.
D.
- Quali speranze ci sono in questa Pasqua, affinché si ricominci a dialogare, a parlare
di pace?
R. – Le speranze non sono tantissime, devo
dire onestamente. In questo momento ci troviamo in una specie di Venerdì Santo. Io
spero che la luce della Risurrezione dia speranza a tutti noi che viviamo questa situazione
tragica. Io continuo a dire che quanto avviene in questo momento a Mogadiscio deve
essere accompagnato da un dialogo politico e, nello stesso tempo, da una fermezza,
che riguarda il concetto di autorità, chi rappresenta in questo momento la popolazione
somala, e anche evitare soprattutto che individui o gruppi sfruttino questo dialogo
per riarmarsi e per continuare ad operare in modo da sabotare qualsiasi rinascita
dello Stato somalo.