La Chiesa ricorda Giovanni Paolo II a due anni dalla morte
Lunedì 2 aprile, ricorre il secondo anniversario della scomparsa di Papa Wojtyla.
Nell’occasione, alle ore 12, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, il cardinale
vicario Camillo Ruini celebrerà la sessione di chiusura dell’inchiesta diocesana sulla
vita, le virtù e la fama di santità del Servo di Dio Giovanni Paolo II. Alle ore 17.30,
in Piazza San Pietro, Benedetto XVI presiederà una Santa Messa in suffragio del suo
predecessore. La Radio Vaticana trasmetterà la cronaca dei due riti. Numerose le celebrazioni
previste anche a Cracovia, in Polonia, patria di Karol Wojtyla. E tante le testimonianze
di chi lo ha conosciuto. Ascoltiamole, nel servizio di Isabella Piro. **********
(musica)
“Lasciatemi tornare alla Casa del Padre”: sono state
queste le ultime parole pronunciate da Giovanni Paolo II, prima della sua scomparsa,
avvenuta alle 21.37 del 2 aprile 2005, vigilia della festa della Divina Misericordia.
Il 28 giugno successivo, a meno di 3 mesi dalla sua morte, grazie alla dispensa concessa
da Benedetto XVI, ebbe inizio la sessione di apertura dell’inchiesta diocesana sulla
vita, le virtù e la fama di santità del Servo di Dio, Giovanni Paolo II. Domani, l’inchiesta
diocesana verrà chiusa. Ad assistere alla cerimonia, ci sarà anche suor Marie Simon
Pierre, guarita dal morbo di Parkison per un presunto miracolo avvenuto per intercessione
di Giovanni Paolo II. Ascoltiamo, al microfono di Beata Zajaczkowka, la testimonianza
di mons. Slawomir Oder, postulatore della Causa di Beatificazione e Canonizzazione
di Karol Wojtyla:
“Questa suora nel 2001 ha avuto
l’esordio del morbo di Parkinson che poi ha avuto un decorso devastante e fulminante.
Dopo la morte di Giovanni Paolo II era una cosa naturale che questa giovane suora,
che si è vista privata delle facoltà di servire nell’Istituto, abbia chiesto al Santo
Padre la sua intercessione e ha avuto una bellissima risposta. In effetti, da un momento
all’altro, sono scomparsi tutti i sintomi di questo morbo di Parkinson. Abbiamo una
documentazione molto interessante dal punto di vista clinico, come anche la documentazione
grafologica che permette di ricostruire le tappe di questa malattia, anche accompagnate
dalla sua scrittura. C’è un foglietto scritto dalla suora, di suo pugno, la sera prima
della guarigione: sul foglietto viene riportato il nome di Giovanni Paolo II, praticamente
un scrittura assolutamente illeggibile. Qualche ora dopo, la suora ha sentito la necessità
di prendere in mano una penna, scrivere, e la sua calligrafia era perfetta come prima
dell’esordio della malattia”.
“Santo subito”, gridò
la folla alla morte di Giovanni Paolo II. E l’affetto per il Papa polacco continua,
ancora e sempre, testimoniato dalle lunghe file di persone raccolte in preghiera davanti
alla sua tomba, nelle Grotte Vaticane. Giovanni Peduto ha raccolto il commento del
cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cracovia e per moltissimi anni segretario
particolare di Giovanni Paolo II:
“Come spiegare
queste file che ogni giorno si creano per andare alla tomba di Giovanni Paolo II?
Queste persone non vanno da un morto: vanno per incontrarlo, per approfondire il messaggio
che ha lasciato, per riprendere qualcosa da lui. Il segreto di tutto questo è l’amore.
L’amore che non cessa con la morte. L’amore del Papa verso l’Uomo: nell’Uomo lui ha
sempre visto Dio; e l’amore per l’infinito. E dall’altra parte, è rimasto l’amore
della gente, soprattutto dei giovani, per il Papa, che li ha sempre tanto amati. La
gente non vuole dimenticarlo. E’ un mistero, e questa è la nostra fede”.
La
sera del 2 aprile 2005, così come era avvenuto per molte sere precedenti, Piazza San
Pietro si riempì di candele e fiammelle, portate da una folla commossa, accorsa a
dire ‘Addio’ al Papa. Al microfono di padre Vito Magno, il cardinale Angelo Sodano,
allora segretario di Stato, ricorda quei momenti:
“La
sera della sua santa morte, ormai i medici non davano più speranze di vita, gli strinsi
la mano e chiesi la sua benedizione, e lui, volgendo il suo sguardo fisso verso di
me, disse con lieve sorriso ciò che non poteva più dire a voce, ma per me quel sorriso
fu il migliore discorso, ne conserverò sempre grata memoria”.
(musica)
Nei
suoi 26 anni di pontificato, Karol Wojtyla ha avuto modo di incontrare diversi presidenti
della Repubblica italiana, tra cui Francesco Cossiga, alla guida del Quirinale dal
1985 al 1992, che rivela, al microfono di Eugenio Bonanata, un curioso aneddoto:
“Ero
presidente del Consiglio dei ministri e mi chiamano e mi dicono: 'Sa, ieri notte è
successa una cosa imbarazzante'. Cos’è successo? 'Una pattuglia in borghese della
polizia, verso le 23 – 23.30, ora non ricordo se a Piazza Navona o a Piazza di Spagna
– ha trovato due ecclesiastici, uno più alto e l’altro più basso, vestiti in clergyman,
che giravano guardando il panorama. E l’ispettore che guidava la pattuglia ritiene
d’aver ravvisato il Papa ed il suo segretario. Ha chiamato il questore e gli ha chiesto:
Cosa facciamo, ci avviciniamo?. Il questore ha detto: No, mando rinforzi ma lasciate
stare’. E succede una seconda volta. Allora il ministro degli Interni mi chiede cosa
dobbiamo fare. 'Chiamatemi il nunzio'. E gli dissi: 'Guardi, il Santo Padre, che è
anche vescovo di Roma, può andare dove gli pare e piace a qualunque ora, e vestito
come vuole; ma dovrebbe farci il favore di avvertirci prima ...'. Poi non ho più saputo
se l’abbia fatto”.
Oltre alle visite ufficiali, tra
il Papa e i capi di Stato italiani erano frequenti anche gli incontri privati, come
racconta Oscar Luigi Scalfaro, presidente dal 1992 al 1999, intervistato da Tiziana
Campisi:
“Capitava d’essere invitati alla Messa
del mattino. Una delle prime volte mi colpì quando il Santo Padre, all’uscita, mi
accompagnò all’ascensore e mi disse con un tono familiare incredibile: 'Venga tutte
le volte che vuole, tutte le volte che vuole venga!'. Si andava alle 7, con mia figlia,
si entrava nella cappella e il Santo Padre era già nei paramenti per la Messa, ed
era sul suo inginocchiatoio in meditazione, in preghiera. La sensazione – mi si permetta
una frase che non ha senso, ma la dico per cercare di esprimere ciò che ho provato
– la sensazione fisica di avere lì davanti il Papa che sta parlando con Domineddio:
il Vicario che è a colloquio con il suo Superiore diretto. Un’impressione enorme:
mentre sto parlando, sento qualche brivido sulla pelle” ...
Nati
entrambi nel 1920 e devoti entrambi a San Carlo, di cui portano il nome, Karol Wojtyla
e Carlo Azeglio Ciampi, presidente dal ’99 al 2006, si incontrarono in diverse occasioni,
fino all’ultimo:
R. – L’ultimo incontro privato
che ho avuto con Sua Santità fu esattamente il 16 gennaio 2005, e concordammo per
il giorno 29 aprile la visita al Quirinale di Sua Santità. Lui ne fu particolarmente
lieto, tant’è che quel giorno volle chiudere la colazione con un brindisi all’Italia.
Quel 2 aprile è mancato, ma io non dimenticai il 29 aprile; e il 29 aprile, appunto,
mia moglie ed io, alle 8, eravamo sulla sua tomba, come a dire: “Tu non sei potuto
più venire al Quirinale, vengo io da Te”.
D. – Quale
tratto della figura di Papa Wojtyla le è rimasto particolarmente nel cuore?
R.
– Questa sua straordinaria umanità. Un uomo che, di grande mente, parlava soprattutto
con il cuore. Questa capacità, poi, di capire nell’intimo le persone. Il dialogo con
lui era un dialogo quasi silenzioso, fatto con gli occhi oltre che con le parole.
E bastava lo sguardo o un gesto della mano, per dire un’immensità di altre cose. Io
l’ho considerato e lo considero tuttora il mio grande fratello maggiore.
D.
– Qual è, secondo lei, l’eredità di Giovanni Paolo II?
R.
– Credere, avere fiducia, porsi degli ideali, impegnarsi per raggiungerli. Naturalmente,
alla base di tutto questo c’è l’amore per il prossimo inteso non solo come caratteristica
fondamentale della religione cristiana. Quindi, la lotta contro la fame, la lotta
a favore degli umili, la lotta per la pace ... Aveva questa capacità di fondere la
dottrina con l’umanità.
Dalla parte degli umili,
degli indifesi, di chi era in difficoltà, Papa Wojtyla ha mostrato al mondo la forza
dell’amore, della carità. Ascoltiamo la testimonianza di un detenuto di ‘Regina Coeli',
carcere che Giovanni Paolo II visitò il 9 luglio del 2000:
“Io
penso che sia stata una persona che stava con noi e sentiva i nostri veri problemi.
Una persona che mi manca. Quello che mi chiedevo è perché una persona del genere con
tanta sofferenza che aveva, lasciava da parte la sua sofferenza per noi. È stato a
Montecitorio a chiedere clemenza per noi, morente. Questi sono ricordi che ti rimangono
dentro e se ci ripensi ti chiedi il perché”