2007-03-30 13:09:57

Da Gesù, il cristiano impari non solo la misericordia ma a gioire del perdono che riconcilia gli animi: così padre Cantalamessa nell'ultima predica di Quaresima al Papa e alla Curia Romana


“Il perdono per una comunità è come l’olio per il motore: come l’olio anche il perdono scioglie gli attriti” e permette agli uomini di vivere in armonia. E’ il pensiero con il quale padre Raniero Cantalamessa ha concluso stamattina il ciclo di meditazioni quaresimali, tenato al Papa e alla Curia Romana. Il predicatore pontificio ha basato la sua riflessione sulla quinta Beatitudine dell’evangelista Matteo: “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia”. Ce ne parla .Alessandro De Carolis: RealAudioMP3

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Se le Beatitudini sono il “ritratto” di Gesù, anche l’esercizio della misericordia va considerato per un credente nel modo in cui Cristo lo visse. Da questa posizione di partenza, comune anche alle altre meditazioni, padre Raniero Cantalamessa ha mosso la riflessione del venerdì che introduce alla Settimana Santa. Tutta la Bibbia, ha spiegato all’inizio, è pervasa dal concetto della misericordia di Dio “verso l’infedeltà del popolo”. Misericordia intesa in una doppia direzione: quella di Dio verso i peccatori e quella degli uomini fra loro. Padre Cantalamessa ha ricordato gli innumerevoli brani che nell’Antico e nel Nuovo Testamento mostrano esempi del perdono che, se praticato, rende l’uomo davvero, più di altro, “a immagine e somiglianza di Dio”. Ma c’è di più:

 
“La cosa più sorprendente, circa la misericordia di Dio, è che egli prova gioia nell’aver misericordia (…) Ma perché, ci si domanda, una pecora deve contare, sulla bilancia, quanto tutte le rimanenti messe insieme, e a contare di più deve essere proprio quella che è scappata e ha creato più problemi, la pecorella smarrita? (…) Che dire allora delle novantanove pecorelle giudiziose e del figlio maggiore? Non c’è alcuna gioia in cielo per essi? Vale la pena vivere tutta la vita da buoni cristiani? (…) L’errore del figlio maggiore sta nel considerare l’essere rimasto sempre a casa e aver condiviso tutto con il Padre, non un privilegio immenso, ma un merito; si comporta da mercenario, più che da figlio”.

 
Dio è pronto al perdono ma rispetta la libertà dell’uomo di accogliere questo perdono e a sua volta offrirlo ai suoi simili. Ma la misericordia di Dio verso di noi - si è domandato poco dopo il predicatore francescano - è effetto ed è proporzionata a quella che dimostriamo agli altri? No, ha affermato: il perdono di Dio precede sempre quello umano:

 
“La parabola dei due servitori è la chiave per interpretare correttamente il rapporto. Lì si vede come è il padrone che, per primo, senza condizioni, rimette un debito immenso al servo (diecimila talenti!) ed è proprio la sua generosità che avrebbe dovuto spingere il servo ad avere pietà di colui che gli doveva la misera somma di cento denari. Dobbiamo dunque avere misericordia perché abbiamo ricevuto misericordia, non per ricevere misericordia; però dobbiamo avere misericordia, altrimenti la misericordia di Dio non avrà effetto per noi e ci verrà ritirata, come il padrone della parabola la ritirò al servo spietato”.

 
La Chiesa, dunque, e ogni singolo cristiano sono sollecitati a comportarsi con altrettanta generosità e con l’intelligenza che contraddistinse l’amore di Cristo verso i peccatori. E parlando di peccatori, il predicatore pontificio ha contestato una tendenza odierna che vorrebbe scagionare i farisei da tale ruolo, identificandolo solo nei criminali peggiori e dunque facendo apparire Gesù una persona socialmente "irresponsabile":

 
“Se fosse così, gli avversari di Gesú avevano effettivamente ragione di scandalizzarsi e di ritenerlo persona irresponsabile e socialmente pericolosa. Sarebbe come se oggi un sacerdote frequentasse abitualmente mafiosi, camorristi e criminali in genere, e accettasse i loro inviti a pranzo, con il pretesto di parlare loro di Dio. In realtà, le cose non stanno così (...) Gesú non nega che esista il peccato e che esistano i peccatori, non giustifica le frodi di Zaccheo o l’adulterio della donna. Il fatto di chiamarli 'i malati' lo dimostra (…) Egli non banalizza il peccato, ma trova il modo di non alienarsi mai i peccatori, ma piuttosto di attirarli a sé. Non vede in essi solo quello che sono, ma quello che possono divenire, se raggiunti dalla misericordia divina nel profondo della loro miseria e disperazione. Non aspetta che vengano da lui; spesso è lui che va a cercarli”.

 
Si tratta allora, ha concluso padre Cantalamessa, “di reagire con il perdono e, fin dove è possibile, con la scusa, non con la condanna”:

 
“Il perdono è per una comunità quello che è l’olio per il motore. Se uno esce in auto senza una goccia d’olio nel motore, dopo pochi chilometri andrà tutto in fiamme. Come l’olio anche il perdono scioglie gli attriti. Cerchiamo di individuare, tra i nostri rapporti con le persone, quello nel quale ci sembra necessario far penetrare l’olio della misericordia e della riconciliazione e versiamocelo silenziosamente, con abbondanza, in occasione della Pasqua”.

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