In Iraq, all’indomani dei numerosi attentati che hanno provocato almeno 60 morti,
ancora una giornata di violenza: uomini armati hanno attaccato la moschea sunnita
di Haswa, a sud di Baghdad, provocando almeno 4 feriti. Sventato, inoltre, un attacco
kamikaze a Ramadi: la polizia irachena ha fermato un uomo alla guida di un camion
bomba. L’arresto è avvenuto venerdì, ma la notizia è stata resa nota oggi. 10 cadaveri
torturati sono stati, infine, ritrovati a Baghdad. E torna al centro del dibattito
politico statunitense la gestione della crisi irachena dopo l’approvazione, da parte
della Camera degli USA, di una mozione sul ritiro delle truppe dall’Iraq entro il
2008. Per diventare vincolante, il provvedimento dovrebbe superare anche il voto del
Senato e il probabile veto del presidente Bush. Intanto, il vicepresidente Cheney
ha affermato che un ritiro anticipato delle truppe USA non sarà autorizzato. Sul peso
che la mozione della Camera potrebbe avere nella politica estera statunitense, Stefano
Leszczynski ha intervistato Massimo Teodori, docente di Storia delle istituzioni statunitensi. **********
R.
– Innanzitutto, bisogna comprendere i meccanismi della politica americana. Diciamo
che questa è piuttosto una “indicazione” rivolta all’elettorato in vista delle prossime
elezioni, e non qualcosa che diventa esecutivo ed obbligante per l’amministrazione
Bush.
D. – Le autorità irachene hanno detto di non riuscire a fronteggiare
la sicurezza interna del Paese. A questo punto, per gli Stati Uniti, il carico diventa
sempre più pesante ...
R. – Sì. Il carico è certamente molto pesante e nell’opinione
pubblica americana c’è un grande dissenso rispetto a tutta l’operazione dell’Iraq.
Però, nessuno in realtà vuole abbandonare il Paese. Tutti, anche quella parte di opinione
pubblica che è contraria all’amministrazione Bush, dicono: “Occorre creare le premesse
perché non sia una sconfitta degli Stati Uniti e non sia una sconfitta di fronte agli
insorgenti islamisti e terroristi”.
D. – Il dibattito sulla politica estera
americana nei confronti dell’Iraq è molto aspro. Come mai non lo è altrettanto sulla
questione Afghanistan?
R. – Innanzitutto, è stata la prima operazione della
guerra al terrorismo, quindi l’intervento in quel Paese significava proprio perseguire
coloro che erano stati responsabili dell’11 settembre. Inoltre, quell’operazione lì
ha avuto la sponsorizzazione preventiva da parte delle Nazioni Unite!