2007-03-23 14:08:50

Padre Cantalamessa nella terza predica di Quaresima: essere solidali con i poveri e gli affamati, per sconfiggere l’indifferenza che parte del nord nutre verso il sud del mondo


L’unica “guerra santa” che le religioni sono chiamate oggi a combattere, insieme, nel terzo millennio è quella contro la povertà, che nel mondo miete milioni di vittime. Lo ha affermato questa mattina padre Raniero Cantalamessa, durante la sua terza predica di Quaresima tenuta al Papa e alla Curia Romana. Lo spunto è venuto dalla meditazione della Beatitudine: “Beati voi che ora avetre fame perché sarete saziati”, tratta dal Vangelo di Luca. L’indifferenza, ha detto il predicatore pontificio, è il più grande peccato contro i poveri. Il servizio di Alessandro De Carolis. RealAudioMP3

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La tentazione di chi possiede dei beni rispetto a chi patisce la miseria è quella di mettere dei “doppi vetri” tra sé e il dramma che vivono i poveri, che viene così percepito in modo “attutito, ovattato”. Ha usato parole e immagini nette, padre Raniero Cantalamessa, nel denunciare una delle piaghe irrisolte del pianeta, quella della fame, ma anche nel valutarne le implicazioni dal punto di vista cristiano. Il punto di avvio della predica quaresimale è stata la celebre asserzione che Luca e Matteo, con accenti differenti, riportano nei rispettivi Vangeli e che definisce “Beati” coloro che hanno fame “perché saranno saziati”. Luca, ha spiegato anzitutto il predicatore pontificio, parla semplicemente di “fame” e non di “fame di giustizia” come fa Matteo, anche se questa seconda versione - ha osservato - “non si oppone a quella di Luca, ma la conferma e la rafforza”. Ma perché intanto quelli che non hanno di che sfamarsi vengono definiti Beati rispetto ai ricchi e quindi sazi? E’ Gesù stesso, ha ricordato padre Cantalamessa, a darne una plastica spiegazione con la parabola di Lazzaro e del ricco Epulone:

“Il ricco epulone e tutti gli altri ricchi del Vangelo non sono condannati per il semplice fatto di essere ricchi, ma per l’uso che fanno, o non fanno, della loro ricchezza. Nella parabola del ricco epulone Gesú fa intendere che c’era, per il ricco, una via di uscita, quella di ricordarsi di Lazzaro alla sua porta e condividere con lui il suo lauto pasto (...) Così si spiega il perché del ‘guai’ rivolto ai ricchi e ai sazi; un ‘guai!’, però, che è più un ‘attenti! che un ‘maledetti!’, perché Gesù non maledice nessuno, il suo è piuttosto un allarme”.

La ricchezza in sé non è quindi colpevolizzata dal Vangelo, ma lo è il modo con cui singoli o nazioni ricche si rapportano con chi versa in miseria. Sta proprio qui l’attualità di questa parabola, ha detto padre Cantalamessa, sta soprattutto nel fatto che essa, dopo duemila anni, riproduce con esattezza lo scenario mondiale del 21.mo secolo:

“La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro si ripete oggi, in mezzo a noi, su scala mondiale. I due personaggi stanno addirittura per due emisferi: il ricco epulone rappresenta l’emisfero nord (Europa occidentale, America, Giappone); il povero Lazzaro è, con poche eccezioni, l’emisfero sud. Due personaggi, due mondi: il primo mondo e il 'terzo mondo'. Due mondi di diseguale grandezza: quello che chiamiamo 'terzo mondo' rappresenta in realtà i 'due terzi del mondo'. (…) E lo spreco è la conseguenza di questo stato di cose. Anni fa una ricerca condotta dal Ministero dell’agricoltura americano ha calcolato che su centosessantuno miliardi di chilogrammi di alimentari prodotti, quarantatre miliardi, cioè circa un quarto, finiscono nella spazzatura. Di questo cibo buttato via, si potrebbero facilmente recuperare, volendo, circa due miliardi di chilogrammi, una quantità sufficiente a sfamare per un anno quattro milioni di persone”.

Ciò che non si fa per alleviare le condizioni dei poveri e degli affamati è da attribuire all’indifferenza che padre Cantalamessa ha detto essere “forse il più grande peccato” contro di loro. Per via di quei “doppi vetri” - vetri anche televisivi - frapposti tra benessere e miseria, si finisce per ignorare le legioni di senza pane né tetto, ovvero i “Lazzaro” di oggi:

“La prima cosa da fare, nei confronti dei poveri, è dunque di rompere i “doppi vetri”, superare l’indifferenza, l’insensibilità, gettare via le difese e lasciarci invadere da una sana inquietudine a causa della miseria spaventosa che c’è nel mondo. (…) Eliminare o ridurre l’ingiusto e scandaloso abisso che esiste tra i sazi e gli affamati del mondo è il compito più urgente e più ingente che l’umanità ha portato con sé irrisolto, entrando nel nuovo millennio. Un compito in cui anzitutto le religioni devono distinguersi e nel quale ritrovarsi unite al di là di ogni rivalità. Un’impresa così gigantesca non può essere promossa da nessun capo o potere politico, condizionato com’è dagli interessi della propria nazione e spesso di poteri economici potenti”.

Padre Cantalamessa ha poi preso in considerazione gli affamati di “giustizia”, secondo le parole del Vangelo di Matteo. “Tutta la giustizia - ha sottolineato - si riassume nel duplice precetto dell’amore di Dio e del prossimo”. E Gesù, ha soggiunto, “ci ha lasciato un’antitesi perfetta del banchetto del ricco Epulone, l’Eucaristia”: ovvero, lo “stesso cibo e la stessa bevanda, e nella stessa quantità, per tutti, per chi presiede come per l’ultimo arrivato nella comunità, per il ricchissimo come per il poverissimo”. Ed ha concluso con un’osservazione sull’azione che la Chiesa compie e deve compiere per condividere “il sospiro di Cristo” nei confronti di chi è in necessità:

“L’otto per mille meglio speso è quello che viene destinato dalla Chiesa a questo scopo, sostenendo le varie 'Caritas' nazionale e diocesane, le mense dei poveri, iniziative per l’alimentazione nei Paesi in via di sviluppo. Uno dei segni di vitalità delle nostre comunità religiose tradizionali sono le mense dei poveri esistenti in quasi tutte le città, in cui vengono distribuite migliaia di pasti al giorno, in un clima di rispetto e di accoglienza. È una goccia in un oceano ma anche l’oceano, diceva Madre Teresa di Calcutta, è fatto di tante piccole gocce”.
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