Padre Cantalamessa nella terza predica di Quaresima: essere solidali con i poveri
e gli affamati, per sconfiggere l’indifferenza che parte del nord nutre verso il sud
del mondo
L’unica “guerra santa” che le religioni sono chiamate oggi a combattere, insieme,
nel terzo millennio è quella contro la povertà, che nel mondo miete milioni di vittime.
Lo ha affermato questa mattina padre Raniero Cantalamessa, durante la sua terza predica
di Quaresima tenuta al Papa e alla Curia Romana. Lo spunto è venuto dalla meditazione
della Beatitudine: “Beati voi che ora avetre fame perché sarete saziati”, tratta dal
Vangelo di Luca. L’indifferenza, ha detto il predicatore pontificio, è il più grande
peccato contro i poveri. Il servizio di Alessandro De Carolis.
**********
La
tentazione di chi possiede dei beni rispetto a chi patisce la miseria è quella di
mettere dei “doppi vetri” tra sé e il dramma che vivono i poveri, che viene così percepito
in modo “attutito, ovattato”. Ha usato parole e immagini nette, padre Raniero Cantalamessa,
nel denunciare una delle piaghe irrisolte del pianeta, quella della fame, ma anche
nel valutarne le implicazioni dal punto di vista cristiano. Il punto di avvio della
predica quaresimale è stata la celebre asserzione che Luca e Matteo, con accenti differenti,
riportano nei rispettivi Vangeli e che definisce “Beati” coloro che hanno fame “perché
saranno saziati”. Luca, ha spiegato anzitutto il predicatore pontificio, parla semplicemente
di “fame” e non di “fame di giustizia” come fa Matteo, anche se questa seconda versione
- ha osservato - “non si oppone a quella di Luca, ma la conferma e la rafforza”. Ma
perché intanto quelli che non hanno di che sfamarsi vengono definiti Beati rispetto
ai ricchi e quindi sazi? E’ Gesù stesso, ha ricordato padre Cantalamessa, a darne
una plastica spiegazione con la parabola di Lazzaro e del ricco Epulone:
“Il
ricco epulone e tutti gli altri ricchi del Vangelo non sono condannati per il semplice
fatto di essere ricchi, ma per l’uso che fanno, o non fanno, della loro ricchezza.
Nella parabola del ricco epulone Gesú fa intendere che c’era, per il ricco, una via
di uscita, quella di ricordarsi di Lazzaro alla sua porta e condividere con lui il
suo lauto pasto (...) Così si spiega il perché del ‘guai’ rivolto ai ricchi e ai sazi;
un ‘guai!’, però, che è più un ‘attenti! che un ‘maledetti!’, perché Gesù non maledice
nessuno, il suo è piuttosto un allarme”.
La ricchezza in sé non è quindi
colpevolizzata dal Vangelo, ma lo è il modo con cui singoli o nazioni ricche si rapportano
con chi versa in miseria. Sta proprio qui l’attualità di questa parabola, ha detto
padre Cantalamessa, sta soprattutto nel fatto che essa, dopo duemila anni, riproduce
con esattezza lo scenario mondiale del 21.mo secolo:
“La parabola del ricco
epulone e del povero Lazzaro si ripete oggi, in mezzo a noi, su scala mondiale. I
due personaggi stanno addirittura per due emisferi: il ricco epulone rappresenta l’emisfero
nord (Europa occidentale, America, Giappone); il povero Lazzaro è, con poche eccezioni,
l’emisfero sud. Due personaggi, due mondi: il primo mondo e il 'terzo mondo'. Due
mondi di diseguale grandezza: quello che chiamiamo 'terzo mondo' rappresenta in realtà
i 'due terzi del mondo'. (…) E lo spreco è la conseguenza di questo stato di cose.
Anni fa una ricerca condotta dal Ministero dell’agricoltura americano ha calcolato
che su centosessantuno miliardi di chilogrammi di alimentari prodotti, quarantatre
miliardi, cioè circa un quarto, finiscono nella spazzatura. Di questo cibo buttato
via, si potrebbero facilmente recuperare, volendo, circa due miliardi di chilogrammi,
una quantità sufficiente a sfamare per un anno quattro milioni di persone”.
Ciò
che non si fa per alleviare le condizioni dei poveri e degli affamati è da attribuire
all’indifferenza che padre Cantalamessa ha detto essere “forse il più grande peccato”
contro di loro. Per via di quei “doppi vetri” - vetri anche televisivi - frapposti
tra benessere e miseria, si finisce per ignorare le legioni di senza pane né tetto,
ovvero i “Lazzaro” di oggi:
“La prima cosa da fare, nei confronti dei poveri,
è dunque di rompere i “doppi vetri”, superare l’indifferenza, l’insensibilità, gettare
via le difese e lasciarci invadere da una sana inquietudine a causa della miseria
spaventosa che c’è nel mondo. (…) Eliminare o ridurre l’ingiusto e scandaloso abisso
che esiste tra i sazi e gli affamati del mondo è il compito più urgente e più ingente
che l’umanità ha portato con sé irrisolto, entrando nel nuovo millennio. Un compito
in cui anzitutto le religioni devono distinguersi e nel quale ritrovarsi unite al
di là di ogni rivalità. Un’impresa così gigantesca non può essere promossa da nessun
capo o potere politico, condizionato com’è dagli interessi della propria nazione e
spesso di poteri economici potenti”.
Padre Cantalamessa ha poi preso in
considerazione gli affamati di “giustizia”, secondo le parole del Vangelo di Matteo.
“Tutta la giustizia - ha sottolineato - si riassume nel duplice precetto dell’amore
di Dio e del prossimo”. E Gesù, ha soggiunto, “ci ha lasciato un’antitesi perfetta
del banchetto del ricco Epulone, l’Eucaristia”: ovvero, lo “stesso cibo e la stessa
bevanda, e nella stessa quantità, per tutti, per chi presiede come per l’ultimo arrivato
nella comunità, per il ricchissimo come per il poverissimo”. Ed ha concluso con un’osservazione
sull’azione che la Chiesa compie e deve compiere per condividere “il sospiro di Cristo”
nei confronti di chi è in necessità:
“L’otto per mille meglio speso è quello
che viene destinato dalla Chiesa a questo scopo, sostenendo le varie 'Caritas' nazionale
e diocesane, le mense dei poveri, iniziative per l’alimentazione nei Paesi in via
di sviluppo. Uno dei segni di vitalità delle nostre comunità religiose tradizionali
sono le mense dei poveri esistenti in quasi tutte le città, in cui vengono distribuite
migliaia di pasti al giorno, in un clima di rispetto e di accoglienza. È una goccia
in un oceano ma anche l’oceano, diceva Madre Teresa di Calcutta, è fatto di tante
piccole gocce”. **********