2007-03-06 18:33:44

Annunciare la verità con coraggio: sulle priorità per i media di oggi, richiamate da Benedetto XVI, è in corso in Vaticano la plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali 


Si è aperta ieri nell’Aula Vecchia del Sinodo, in Vaticano, l'Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali. Tema dell'incontro, che si concluderà venerdì 9 marzo, è “Le priorità nelle comunicazioni sociali, per la Chiesa e per il nostro Consiglio”. Proprio nel suo messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali di quest’anno, Benedetto XVI ha indicato alcune grandi sfide con le quali tutti gli operatori della comunicazione devono confrontarsi. In particolare, il Papa ha rivolto un appello ai media di oggi, affinché siano “responsabili”, “protagonisti della verità e promotori della pace”. Una riflessione sulle priorità per i media cattolici ci viene offerta da Paolo Bustaffa, direttore dell’agenzia SIR, intervistato da Alessandro Gisotti: RealAudioMP3

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R. – Io vorrei rispondere con una frase che Benedetto XVI pronunciò ricevendo in udienza il 2 giugno scorso i media cattolici, i media della Conferenza episcopale italiana e quindi anche l’agenzia SIR, e la frase è questa: “Costruire ponti di comprensione e comunicazione tra l’esperienza ecclesiale e l’opinione pubblica”. Questo, credo, sia un primo compito fondamentale che racchiude poi tutte le grandi questioni che riguardano il linguaggio, che riguardano la professionalità, la credibilità e l’attendibilità del nostro servizio. Quindi, questo costruire ponti significa davvero mettersi in un atteggiamento di ascolto e racconto della realtà, cercando di individuare i valori, gli ideali più sentiti, più veri, quelli che danno significato pieno alla vita di ogni persona, di una società e di una comunità.

 
D. - La Chiesa e il Papa annunciano un messaggio. Spesso, però - basti pensare al caso clamoroso del discorso di Ratisbona - i media offrono un’informazione parziale, se non addirittura strumentale. Cosa possono fare i media cattolici per far passare la notizia in modo corretto e completo?

 
R. - Non è un lavoro facile, perché una volta che i “potenti”, i “grandi” mezzi di comunicazione stravolgono un messaggio, è davvero molto difficile per noi cercare di offrire degli elementi conoscitivi più profondi, più attendibili, più credibili perché l’opinione pubblica, le persone possano rendersi conto davvero di quello che è stato detto, di quello che è il pensiero, di chi ha parlato.

 
D. - Nel messaggio per l’ultima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, il Papa ha esortato i media di oggi ad essere protagonisti della verità. Come mettere in pratica questa esortazione nell’era della globalizzazione che propone spesso messaggi anche confusi?

 
R. – Io credo che sia possibile, grazie a un percorso che attraversi le coscienze delle persone. Il nostro compito è quello davvero di stimolare domande, di stimolare il desiderio di cercare la verità, cercare risposte che siano nel senso della verità. Questo credo lo si possa fare, si possa raggiungere tale obiettivo mettendo tutta la professionalità possibile - è un tema che continuamente richiamiamo - ma avendo noi stessi poi passione per la verità, quindi mettendoci anche noi alla ricerca della verità, insieme a tutti coloro ai quali noi ci rivolgiamo.
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Quali, invece, le priorità in un mezzo di comunicazione cattolico che opera a livello locale? Al microfono di Alessandro Gisotti, risponde Claudio Mazza, vicedirettore de “Il Segno”, mensile della diocesi di Milano, voluto nel 1961 dall’allora cardinale Giovanni Battista Montini: RealAudioMP3
 
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R. - La priorità è sostanzialmente ancora quella dettata da Montini con molta lungimiranza allora, già dal nome, lui lo volle chiamarlo “Il Segno” perché fosse un segno della presenza della Chiesa nella società, attraverso le parrocchie le famiglie e le famiglie cristiane. Questo è il senso della sua analisi di allora. Di pari passo doveva essere una specie di supporto ai bollettini parrocchiali. E’ uno strumento laico a servizio della Chiesa di Milano. Di fatto ci sono giornalisti professionisti, quindi non ha niente da invidiare agli altri mensili, agli altri settimanali. L’obiettivo che ci poniamo è quello di essere presenti all’interno del tessuto sociale e culturale della diocesi ambrosiana. Questo deve interagire con lo stesso territorio e in un contesto di verità e di regole, avendo sempre davanti il bene della persona, della comunità. Certo in un confronto aperto con tutte le culture e le persone che convivono con noi in questo luogo e del nostro tempo.

 
D. - Qual è la risposta dei lettori, che cosa apprezzano in particolare del “Segno”, e com’è cambiata nel tempo la percezione da parte dei fedeli di questo mezzo di comunicazione diocesano?

 
R. - La percezione del mezzo è pressoché identica, questo per un motivo semplice, cioè che al “Segno” nella stragrande maggioranza sono collegate poi delle pagine di informatori locali, pagine locali a lui più vicine. Bollettini che raccontano la vita della parrocchia, la vita dell’associazione, dei movimenti, tutto quello che ruota attorno alla comunità cristiana, e questo è il primo dato di lettura. Poi c’è un secondo dato di lettura: non diamo un’attenzione solo al particolare che è la comunità, ma al tessuto diocesano e alla Chiesa in Italia e nel mondo.
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