Amnesty International denuncia le discriminazioni in Cina nei confronti dei lavoratori
migranti
“In Cina un miracolo economico dagli elevatissimi costi umani”. Amnesty International,
in un rapporto pubblicato ieri, denuncia le terribili condizioni sociali dei lavoratori
migranti, che stanno alimentando il vertiginoso progresso della Repubblica Popolare,
senza il più elementare sostegno da parte dello Stato e l’osservanza dei diritti fondamentali
della persona. Su questo triste fenomeno, Giancarlo La Vella ha sentito il
portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury: **********R. – Il miracolo
economico della Cina ha un costo umano insopportabile, che si abbatte su 200 milioni
di migranti interni che in questi anni, dalle campagne cinesi sono giunti nelle città
e stanno ingrossando quella forza lavoro sottopagata che costituisce il motore del
miracolo economico cinese; e sono considerati una vera e propria sottoclasse urbana:
privi di diritti, privi di accesso a servizi fondamentali nel campo sanitario ed educativo,
e sottoposti ad alcune delle peggiori forme di abuso nel campo del lavoro.
D.
– Perché le autorità della Repubblica Popolare non hanno preventivato in qualche modo
un rischio del genere?
R. – Lo hanno preventivato
– noi crediamo – e lo ignorano, perché in nome dello sviluppo economico si possono
calpestare diritti fondamentali come quello ad un’abitazione degna, alla salute, a
servizi primari gratuiti, cose che peraltro la Costituzione cinese prevede nei confronti
della maggior parte della popolazione. Senonché, i lavoratori migranti sono considerati
“residenti temporanei” e continuano a subire discriminazioni nei confronti di coloro
che sono considerati “residenti stabili” nelle città. Se consideriamo che questi migranti
sono già vessati sul lavoro, dobbiamo anche aggiungere che hanno dei figli, e questi
figli saranno la prossima generazione che verrà triturata dal miracolo economico cinese.
D. – E’ uno stato di cose che spesso costa realmente
delle vite umane, come nel caso delle miniere ...
R.
– Certo che le condizioni di lavoro sono veramente devastanti, perché l’importante
è quanti pezzi, quanti giocattoli, quanto minerale, quanto abbigliamento esca da una
fabbrica. In nome di questa iper-produzione sfrenata, si passa sopra a qualunque cosa.
D.
– C’è una qualche responsabilità anche da parte della comunità internazionale che,
comunque, dovrebbe prendere dei provvedimenti?
R.
– E’ chiaro che, intervenire sulla situazione di 200 milioni di persone non è facile;
ma quello che manca oggi è una condanna forte e netta nei confronti di quella che
è la vera e propria architettura del modello di sviluppo economico cinese.
D.
– Non esiste un progresso in qualche modo sostenibile dal punto di vista della tutela
dei diritti umani?
R. – Certamente non esiste in
Cina. Esiste uno sviluppo economico che è rispettoso dell’ambiente in cui le persone
vivono ed è rispettoso dei diritti di queste persone. In Cina come altrove, lo sviluppo
economico che si persegue è uno sviluppo di breve durata che potrà servire a far conquistare
ad un Paese posizioni di primato economico e di forza anche politica e militare; ma
via via, queste condizioni di sviluppo insostenibile si propagheranno altrove nel
mondo.**********