Giovedì al Senato la prova della fiducia per il governo Prodi
Giovedì prossimo a Palazzo Madama e venerdì a Montecitorio. Sono queste le date più
probabili per i voti di fiducia al Governo, dopo la decisione, presa ieri dal capo
dello Stato, Giorgio Napolitano, di respingere le dimissioni di Prodi e rinviarlo
alle Camere, risolvendo in questo modo la crisi apertasi mercoledì scorso con la bocciatura
in Senato delle linee di politica estera dell’esecutivo. Una decisione, quella di
Napolitano, salutata naturalmente con favore dal centrosinistra, con rispetto ma dissenso
dal centrodestra. Servizio di Giampiero Guadagni:
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Il rinvio
alle Camere di Romano Prodi da parte del capo dello Stato ha risolto la crisi dal
punto di vista formale, ma non ancora da quello politico. Prodi, infatti, si presenterà
al Senato senza la certezza di ottenere la fiducia. La situazione è ben compresa da
Napolitano che, motivando la sua decisione, ha spiegato che era l’unica possibile,
in assenza di una alternativa concreta e condivisa da tutta l’opposizione. Napolitano
ha chiesto all’Unione garanzie sulla tenuta di una maggioranza politica. E qui sta
il punto decisivo. Al Senato, infatti, il quorum è di 161 voti. Il centrosinistra
al momento dispone con certezza di 157 voti, ai quali si aggiungeranno sicuramente
quelli di quattro senatori a vita. Un contributo costituzionalmente riconosciuto,
che permetterebbe a Prodi di ottenere la fiducia, sia pure per un soffio, ma che non
sembra del tutto rispondere alle richieste del capo dello Stato. Anche in vista di
importanti appuntamenti, nei quali si verranno con tutta probabilità a creare maggioranze
variabili. E’ il caso, ad esempio, del voto sul rifinanziamento della missione in
Afghanistan. In queste ore si guarda con apprensione, da una parte e dall’altra, alle
scelte di alcuni senatori ancora incerti. Decisivo potrebbe essere l’atteggiamento
di Luigi Pallaro, il senatore eletto nella circoscrizione estero, che finora ha appoggiato
Prodi, ma che stavolta sembra propenso a negare la fiducia. Aspre polemiche, invece,
sulla scelta già annunciata da Marco Follini, ex segretario dell’UDC, di passare nello
schieramento di centrosinistra. Un tradimento dell’elettorato, affermano Casini e
Berlusconi. E l’ex premier parla apertamente di mercato dei voti. DS e Margherita
sperano, invece, che la scelta di Follini apra la strada all’allargamento della coalizione.
Anche perché, ha detto ieri D’Alema, certa sinistra radicale non serve al Paese. Una
posizione quella del ministro degli Esteri destinata a non rimanere senza conseguenze
nel dibattito interno all’Unione.