Dal Burkina Faso nuovo appello a non dimenticare il Sahel
Un nuovo appello a non dimenticare la situazione alimentare di tutte le popolazioni
africane che abitano la zona subsahariana. Lo lancia il Consiglio di amministrazione
della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel, istituita nel 1980 dopo il celebre
“appello di Ouagadougou” lanciato da Papa Wojtyla durante il suo viaggio in Burkina
Faso, allora denominato Alto Volta. La riunione della Fondazione, iniziata lunedì
scorso proprio nella città di Ouagadougou, si concluderà domani. Al microfono di Giovanni
Peduto, il segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum, mons. Karel Kasteel,
spiega il perché dell’importante ruolo svolto dalla Chiesa nell’area: *********** R.
- La Chiesa si trova in una posizione avvantaggiata, proprio perché è presente nei
nove Paesi del Sahel (Burkina Faso, Capo Verde, Ciad, Gambia, Guinea Bissau, Mali,
Mauritania, Niger e Senegal). Una volta che gli amministratori - che sono i nove vescovi
che rappresentano i nove Paesi del Sahel – hanno fatto la loro relazione sulla situazione,
vengono presi i provvedimenti e viene quindi deciso dove devono essere destinati gli
aiuti più consistenti, che in genere vengono diretti per combattere la desertificazione
e far sì che il popolo possa vivere della terra dove abita.
D.
- Quali sono le necessità più urgenti per queste popolazioni? Qual è la situazione
in generale?
R. - Direi anzitutto quella della sopravvivenza,
perché a causa dei grandissimi cambiamenti climatici, le popolazioni faticano enormemente
a strappare le loro terre al deserto, perché - com’è noto - il Sahara continua ad
avanzare. Hanno bisogno di mezzi, hanno bisogno di ricevere aiuti. E tenendo conto
che è molto difficile saper usare tutte le tecnologie moderne, hanno anche bisogno
di formazione. E’ per questo che vengono destinate dalla Fondazione anche molte borse
di studio.
D. - Cosa ha fatto finora la Fondazione
per questi Paesi?
R. - In questi 27 anni, è stato
anzitutto svolto un grande lavoro di coscientizzazione. I Paesi del Sahel erano poco
noti quando divennero indipendenti e, dunque, la Fondazione ha fatto molto per far
conoscere le loro necessità. Molti aiuti sono arrivati, grazie alla Fondazione, grazie
anche alla cooperazione italiana all’estero, e soprattutto grazie alla CEI, che è
stata una delle prime a capire l’importanza della Fondazione e del suo lavoro in questi
Paesi: sia come mezzo di evangelizzazione o di preevangelizzazione, sia perché ci
sia una grande amicizia tra cattolici, musulmani e coloro che seguono le religioni
tradizionali, perché la Fondazione è stata voluta dal Papa per tutte le popolazioni.
D. - Monsignore, un suo appello dai microfoni della
Radio Vaticana…
R. - Penso che sarebbe molto bello,
in primo luogo, pregare affinché queste popolazioni non abbiano a soffrire per le
terribili carestie del passato. Anche lo scorso anno ce ne è stata una in Niger. Quasi
ogni anno c’è un pericolo di grande carestia, di grande mancanza di acqua o di altri
gravi problemi. Quindi, se qualcuno può inviare aiuti finanziari alla Fondazione può
farlo tramite Cor Unum o direttamente a Ouagadougou. E’ un modo di rispondere direttamente
all’appello di Giovanni Paolo II, affinché tutti i cattolici vengano in aiuto a queste
persone – circa 120 milioni di persone – che vivono in questi nove Paesi.