Santa Sede e Italia celebrano il 78° anniversario dei Patti Lateranensi
(19 febbraio 2007 - RV) Per la Santa Sede e lo Stato italiano oggi è il giorno delle
tradizionali celebrazioni dei Patti Lateranensi del 1929 e della revisione del Concordato
del 1984. Nel pomeriggio, presso l’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, i due
anniversari saranno celebrati alle presenza delle massime autorità delle due istituzioni,
fra le quali il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, e il cardinale
segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Una nota del SIR, l’agenzia della Conferenza
episcopale italiana, ricordando che “le relazioni tra l’Italia e la Santa Sede sono
tradizionalmente buone, anzi eccellenti, invita a “guardare insieme nel concreto e
in avanti”, in particolare sui temi cruciali della vita, della famiglia e dell’educazione,
senza “attardarsi - si legge - in quelle ricorrenti polemiche sulla ‘laicità’, che
periodicamente ritornano” e che mirano a “delegittimare l’interlocutore” che “non
avrebbe diritto ad esprimersi”. Nel complesso, tuttavia, i 23 anni trascorsi dalla
revisione dei Patti Lateranensi sono da considerarsi molto positivi. E la conferma
viene da uno dei “padri” del Concordato dell’84, il prof. Carlo Cardìa, docente di
Diritto ecclesiastico all’Università di Roma Tre, intervistato da Alessandro De Carolis:
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- Ci troviamo in un periodo molto buono, perché non è insorta nessuna controversia
né sul Concordato, né su questioni rilevanti tra Stato e Chiesa. Sono stati anni molto
sereni, dal punto di vista giuridico, della costruzione di queste relazioni e sono
stati anni - ci tengo a sottolinearlo – in cui il nuovo Concordato ha aperto la strada
anche alla stipulazione delle intese con altre confessioni religiose: ha aperto cioè
la strada al rispetto della libertà religiosa più ampia in Italia. Il Concordato è
stato il primo atto che ha cominciato a porsi su questa strada.
D. - Il
principio della laicità dello Stato, la questione della sfera d’azione della Chiesa,
di tanto in tanto suscitano animate discussioni, nonostante la mole del corpus giuridico
relativa alla materia e nonostante, aggiungerei, il peso della storia. Perché secondo
lei?
R. - Diciamo subito una cosa: la laicità dello Stato, soprattutto
come si è venuta costruendo nel XX secolo dopo l’epoca dei totalitarismi, riconosce
la più ampia sfera di libertà alla Chiesa e alle Chiese. E io direi anche qualche
cosa di più: e cioè che è il sistema democratico che riconosce alla Chiesa e alle
Chiese libertà di pensiero, di parola, di azione. In passato, il laicismo voleva “ricacciare”
nel privato le Chiese, voleva che non parlassero, che si occupassero solo dei riti
e del culto. Oggi noi siamo in una posizione diversa. La sfera della Chiesa è la sfera
di tutte le altre grandi forze sociali. E’ libera di agire, è libera di esprimere
le sue opinioni. Poi, naturalmente, i cittadini, ciascuno nella propria coscienza,
valuteranno ciò che la Chiesa e le Chiese dicono, e faranno le loro scelte. Questo
è il principio della laicità moderna.
D. - In questi giorni si parla molto
di ingerenze, di silenzi, del diritto ad esprimersi della Chiesa e di chi questo diritto
invece non lo riconosce o lo riconosce fino ad un certo punto. Qual è la sua opinione?
R.
- La contingenza di questi giorni, di queste settimane, di questi mesi, ha fatto emergere
questa istanza molto singolare: quando una Chiesa esprime le proprie opinioni, in
maniera fra l’altro aperta, pubblica, si ha un’ingerenza. Io faccio sempre, su questo
problema, l’esempio degli Stati Uniti - fra l’altro citato proprio da alcuni laicisti.
Negli Stati Uniti, come sappiamo, ci sono molte Chiese. Molte di esse parlano, agiscono,
anche in un modo, diciamo, un po’ “gridato”. Bene: ciò avviene negli Stati Uniti senza
che nessuno dica mai nulla. Qual è allora il problema italiano? E’ che nel momento
in cui la Chiesa si fa interprete di valori generali – perché in questi giorni si
parla di valori generali non confessionali - c’è chi non si sente sicuro su questo
terreno, perché avverte che a livello popolare certe cose sono sentite, e dunque utilizza
il criterio della laicità: la laicità vecchia, però, di cui parlavamo prima.
D.
– Dunque, professore, la materia trattata dal Disegno di legge sui Diritti delle coppie
di fatto è materia sulla quale la Chiesa può e deve dire la sua…
R. - Se
la Chiesa non parla in materia di fede e di morale, qualcuno mi deve dire di che cosa
deve parlare… Diciamo un po’ le cose come stanno: quando la Chiesa interviene su temi
come la pace, la convivenza civile, anche su temi più vicini alla politica, se ciò
che dice va bene ad una parte politica, questa plaude, se ciò che dice non va bene
in materia di morale, si rialza un po’ lo steccato dell’ingerenza. Qui c’è una contraddizione.
Ricordo un episodio clamoroso, di circa due anni fa, quando sui giornali si scrisse
che in Italia la Conferenza episcopale, in un documento, avrebbe parlato della struttura
federale dello Stato e tutti plaudirono, da una certa parte politica, perché erano
contrari a quella struttura federale. Ma se la Chiesa può parlare addirittura sulla
struttura federale, come può non avere il diritto di parlare in materia di etica e
di famiglia? C’è proprio una contraddizione in linea di principio. **********