2007-02-16 14:35:22

"La scienza medica deve servire chi è malato o non può parlare, come il bambino non nato". Così Benedetto XVI al Convegno sulla Comunicazione in medicina alla Cattolica di Roma


(16 febbraio 2007 - RV) La relazione fra medico e paziente è un’area da esplorare a fondo, per impedire che la professione medica si limiti alla cura della sofferenza fisica, ignorando la totalità della persona, e prestandosi così a “manipolazioni” e a “distorsioni” della sua natura più vera. L’appello di Benedetto XVI spicca nel Messaggio inviato, a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ai partecipanti al Convegno internazionale intitolato “Comunicazione e relazionalità in medicina, nuove prospettive per l’agire medico”. Il Convegno si svolge oggi e domani a all’Università Cattolica di Roma ed è promosso dall’Associazione Medicina Dialogo Comunione in collaborazione con l’ateneo. Sul Messaggio del Papa, il servizio di Alessandro De Carolis: RealAudioMP3
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Trovare un autentico rapporto col malato per non tradire la propria vocazione di medico. Lo chiede Benedetto XVI ai medici del Convegno promosso dall’Associazione MDC (Medicina Dialogo Comunione), che si ispira al carisma del Movimento dei Focolari. In una medicina come quella contemporanea, “sempre più soggetta a manipolazioni, a tentativi di distorsione della sua natura specifica, che è quella di un sapere al servizio dell’uomo malato”, questi – scrive il Papa nel Messaggio a firma del cardinale Bertone – deve poter contare su una “dimensione relazionale” che coinvolga tutti gli attori di una struttura medica, dall’equipe che segue il paziente al contesto familiare del malato stesso. Questo assunto dimostra, osserva il Pontefice, la “centralità” che la comunicazione occupa nella professione medica.

Tuttavia, argomenta più avanti Benedetto XVI, sarebbe “un errore identificare nella capacità relazionale e comunicativa il tutto della persona umana”, poiché afferma citando l’enciclica Evangelium vitae, “è chiaro che, con tali presupposti, non c’è spazio nel mondo per chi, come il nascituro o il morente, è un soggetto strutturalmente debole” e all’apparenza “totalmente assoggettato alla mercé di altre persone e da loro radicalmente dipendente”, in grado di comunicare “solo mediante il muto linguaggio di una profonda simbiosi di affetti”. Le “nuove prospettive” cui si riferisce il titolo del Convegno, sottolinea Benedetto XVI, vanno lette dunque “nell’ottica di una capacità comunicativa che fonda l’essere uomo al di sopra di quei valori fittizi che vengono sempre più imposti dalla società moderna, quali efficienza, produttività e autonomia”. La speranza che accompagna questa iniziativa, conclude il Papa, è quella “di scoprire una sempre maggiore autenticità delle relazioni nel mondo della medicina”.


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Comunicazione e relazionalità, dunque, sono la chiave per migliorare l’attività medica nel futuro. Su questo punto, Antonella Villani ha chiesto il parere di Flavia Caretta, geriatra, docente all’Università Cattolica di Roma e moderatrice del Convegno: RealAudioMP3

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R. - Credo che la comunicazione e la relazione in medicina, oggi, significhino recuperare l’essenza della professione medica che richiede sicuramente competenza tecnica, ma anche competenza umana, capacità relazionale perché l’incontro con il paziente è un incontro tra persone, non tra ruoli.


D. - Voi puntate molto anche sul concetto di fraternità. Ma come si applica questo in medicina?


R. - Fraternità significa un incontro tra persone in cui ciascuno ha qualcosa da dare e da ricevere dall’altro. Noi vorremmo provare a sostanziare reciprocità e comunione, mettendole come fondamento ad ogni relazione.


D. - In questo momento, si parla molto di eutanasia, accanimento terapeutico... Come vi ponete di fronte a tutto questo?


R. - Il medico non si pone solo come un dispensatore di cure, ma come un qualcuno che sa cogliere anche quelle che sono le esigenze più profonde del paziente. Forse si può arrivare a decisioni condivise che rispettino le esigenze del paziente ma anche la dignità della vita e della persona.


Il Convegno è stata l’occasione per confrontare varie realtà mediche, creare modelli applicativi, come spiega Antonio Acquaviva, ricercatore pediatra all’Università di Siena:


R. - Non tutti i medici hanno questa capacità di relazionarsi. Nei nostri incontri abbiamo fatto esperienza che possono essere proposti dei modelli applicativi che facciano sì che venga fuori una medicina nuova, più attenta al malato perché anche l’efficacia delle cure possa risentire di questo clima di cui il malato ha tanto bisogno. Questi modelli applicativi si riferiscono anche alla relazione tra gli operatori sanitari: è importante creare un approccio multi-disciplinare per tante malattie, e anche questa multidisciplinarietà dev’essere vissuta in un ambito di amicizia, di fraternità ...


D. - Tra le vostre proposte c’è anche l’inserimento di materie medico-umanistiche nei piani di studio...


R. - Noi vorremmo proporre al ministro per le Università che il curriculum degli studenti universitari preveda una formazione alla relazione. Potrebbe essere possibile inserire materie come la pedagogia medica, l’etica della relazione oltre alla bioetica, cioè tutte materie che affinano le capacità dello studente a relazionarsi con il malato.


D. - Umanità e fratellanza sono fondamentali anche per quanto riguarda le collaborazioni tra nazioni a diverso livello assistenziale...


R. - Abbiamo presentato i risultati di progetti che abbiamo realizzato in Africa e nelle Filippine. E’ stata come una verifica: entrando a contatto con queste popolazioni, con questo spirito diverso, possiamo avere dei risultati terapeutici impensabili!
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