Illiberale chiedere ai vescovi di tacere sulla famiglia: lo afferma, ai nostri
microfoni, lo storico Galli della Loggia
(16 febbraio 2007 - RV) “Una Chiesa che si occupa delle cose di Dio non può non occuparsi
delle cose degli uomini. Perché l'uomo è cosa di Dio” e “nulla più della famiglia
riguarda l'uomo”. E’ il richiamo contenuto nell’edizione odierna dell’Osservatore
Romano. La nota, a firma di Gaetano Vallini, si inserisce nel confronto in corso in
Italia sulle coppie di fatto, particolarmente acceso dopo l’approvazione, da parte
del governo, di un disegno di legge sui cosiddetti DICO. Anche il mondo cattolico
si divide con la firma di appelli e contro-appelli, come ci riferisce Alessandro Gisotti:
********** “La
Chiesa sulla famiglia ha il dovere di parlare. Chi vuole, ascolta. Ma non le si chieda
di tacere”: è quanto sottolineato dall’Osservatore Romano che si chiede “perché la
Chiesa, il Papa e i Vescovi non possano intervenire su un tema tanto delicato quanto
cruciale come quello della famiglia”. D’altro canto, prosegue la nota, “intervenendo,
la Chiesa non difende una posizione politica, ma semplicemente adempie al suo mandato,
che è anche un suo diritto: predicare con libertà la fede e insegnare la sua dottrina
sociale, dando un giudizio morale anche su cose che riguardano l’ordine politico se
in gioco ci sono l’uomo e la sua dignità”. Negarlo, prosegue il commento di Gaetano
Vallini, “significa negare un diritto-dovere”. Sono dunque “quanto meno inopportune
quelle voci che in questi giorni, anche con appelli pubblici, vorrebbero far tacere
questa voce tanto autorevole quanto scomoda. Tanto scomoda da essere definita da alcuni
impropriamente un’ingerenza”. L’Osservatore Romano fa riferimento ad un appello ai
vescovi italiani, firmato da alcuni intellettuali cattolici, dopo l’annuncio da parte
del cardinale Camillo Ruini della pubblicazione di una nota sulle coppie di fatto.
La Chiesa italiana, si legge in questo appello, “sta subendo un’immeritata involuzione”.
Secondo i firmatari, l’annunciato intervento della CEI “è di inaudita gravità”. A
questo documento, risponde un gruppo di intellettuali laici e cattolici che chiedono
ai presuli italiani di “mantenere chiara e libera la loro impostazione di dottrina
e cultura morale in tema di legislazione familiare”. Nello stesso appello, si ritiene
“ingiusta ogni forma di intimidazione intellettuale contro l’autonomia del pensiero
religioso”. ************
Dunque, mentre ancora non si conosce il contenuto
della nota annunciata dalla CEI, alcuni intellettuali chiedono ai vescovi italiani
di non intervenire sulla famiglia. Una pretesa illiberale, secondo lo storico Ernesto
Galli della Loggia, intervistato da Alessandro Gisotti: ********** R. -
La cosa più singolare mi sembra il fatto che si chieda ai vescovi, in sostanza, di
non parlare su materie che non siano strettamente attinenti al Magistero, che nessuno
può immaginare non lo siano. L’idea che la pronuncia dei vescovi però spaccherebbe
e metterebbe in difficoltà una parte del mondo cattolico mi sembra anche questa una
motivazione molto discutibile, perché i vescovi, nel pronunciarsi in materie così
delicate, non possono tener conto del fatto se poi la loro pronuncia avrà o meno un
consenso vasto, di quanti cattolici saranno d’accordo… Penso che c’è un rapporto con
la verità della fede a cui i vescovi sono tenuti, che non può tenere conto delle conseguenze
politiche o pratiche di consenso, che le loro parole possono avere.
D.
- In questa vicenda, dove è, secondo lei, la distinzione tra ingerenza e diritto
di parola, diritto di intervento?
R. - Io non so, in questo caso e data
la nostra situazione storica, che cosa sia l’ingerenza. Si parla moltissimo del fatto
che la CEI si rivolgerebbe ai deputati: si rivolge ai deputati cattolici, i quali
naturalmente prima di essere deputati sono cattolici dal punto di vista della Chiesa!
Quindi non si capisce perché la Chiesa dovrebbe rivolgersi a tutti i cattolici tranne
a quelli che fanno per qualche anno i deputati. Perché a quelli non bisognerebbe rivolgersi?
E’ una concezione stranissima del rapporto fra politica e fede. Si dice anche che
la Chiesa, su certe materie, non dovrebbe intervenire, ma è ridicolo pensando soprattutto
alla qualità delle materie che sono in discussione, sulle quali la Chiesa è sempre
intervenuta. Il cristianesimo si è affermato storicamente come una rivoluzione dei
costumi e quindi che la Chiesa non si pronunci su queste materie è semplicemente ridicolo.
Pretendere una cosa del genere a mio giudizio non ha senso. Poi, i deputati cattolici
si regoleranno secondo la loro coscienza e ne risponderanno alla loro coscienza. Ma
pretendere che la Chiesa non si rivolga anche ad essi mi sembra una pretesa che da
un punto di vista liberale, nel senso più ampio della parola, non ha senso.
D.
- Come è accaduto anche in passato, basti pensare al dibattito sulla legge 40, sulla
fecondazione assistita, torna ad accendersi il confronto sul rapporto tra Chiesa e
Stato, sul concetto di laicità. Perché sembra che questo confronto non trovi soluzione?
R.
- Io credo che sia un confronto che non deve trovare soluzione, guai se la trovasse!
E’ un confronto fecondo, proprio perché un confronto che è nelle cose “sempiterno”.
C’è Cesare e Dio e il rapporto tra Cesare e Dio non è un rapporto semplice, è un rapporto
continuamente carico di tensioni. La Chiesa fa bene a difendere il suo punto di vista,
lo Stato fa bene a mantenere la sua laicità, che però non vuol dire mettere a tacere
la Chiesa perché questo significherebbe tra l’altro eliminare questa tensione molto
viva, molto inerente alla stessa identità cristiana. Penso che il contrasto nasca
dal fatto che il cristianesimo ha l’ambizione di esprimere un giudizio morale anche
sul potere, sul comportamento del potere. Lo ha fatto da quando si è affermato nell’Impero
romano, è la sua caratteristica, come del resto è la caratteristica di molte religioni.
Al tempo stesso però riconosce un’autonomia al potere, ma questo non significa non
giudicarlo. **********