Il pellegrinaggio come scoperta del senso dell’esistere al centro del convegno dell’Opera
Romana Pellegrinaggi in corso a Roma
(13 febbraio 2007 - RV) Proseguono a Roma i lavori del XV Convegno teologico-pastorale
promosso dall’Opera Romana Pellegrinaggi sul tema dei Cammini d’Europa, le mete cioè
dei pellegrinaggi che hanno segnato la storia d’Europa. L’Opera Romana Pellegrinaggi,
sotto la guida di mons. Liberio Andreatta, lancia, infatti, una sfida agli uomini
e le donne di oggi: farsi pellegrini del terzo millennio sui sentieri percorsi dai
nostri padri. La relazione cardine di questa mattina è stata svolta dal noto biblista
Gianfranco Ravasi, prefetto della Biblioteca Ambrosiana a Milano, che ha incentrato
il suo intervento sul salmo 83: ‘ Beato chi trova in sé la sua forza e decide nel
suo cuore il santo viaggio’. Giovanni Peduto gli ha chiesto una sintesi della sua
riflessione: *********** R.
– Il messaggio principale è soprattutto ricordare che il pellegrinaggio è il tentativo
di una ricerca che non si ferma soltanto all’orizzonte storico: noi, infatti, andiamo
nel pellegrinaggio verso spazi, verso regioni, verso santuari; ma nell’interno di
questo movimento si scopre il senso ultimo dell’esistere e il mistero della propria
esperienza di fede, che è trovare ciò che è eterno e infinito.
D. – Quale eredità
hanno lasciato i pellegrini all’Europa?
R. – I pellegrini hanno lasciato due
tipi di eredità. Da una parte, hanno lasciato una traccia di straordinaria bellezza
attraverso monumenti, attraverso vicende culturali, attraverso grandi segni della
loro cultura, del loro mondo, della loro arte; e dall’altra parte, hanno lasciato
anche una profonda traccia di spiritualità. Possiamo dire quasi che l’Europa è attraversata
da una rete di luce: e sono questi percorsi dei pellegrini, che rappresentano la costante
ricerca dell’uomo nei confronti del mistero di Dio.
D. – Ancora oggi, milioni
di fedeli si mettono in cammino: cosa cercano?
R. – Milioni di fedeli di tutte
le religioni, dobbiamo dire. Tutta l’umanità, cioè, vuole abbandonare la banalità,
l’ovvietà, la quotidianità, le cose comuni per scoprire che l’uomo non può vivere
soltanto di pane, di tempo e di spazio ma ha bisogno anche – come dice la Bibbia –
di parola divina; noi diciamo anche: di eternità, di mistero, di divino.
D.
– L’uomo contemporaneo è molto preso dalla realtà materiale, come se tutto dovesse
concludersi qui. Cosa cambierebbe se sapesse che ci aspetta una vita eterna?
R.
– Il pellegrinaggio, in ultima analisi, è cercare di trovare – appunto – come si suol
dire, la Gerusalemme celeste, il Santuario ultimo ed estremo, che è un’intera città.
L’uomo di oggi, fermo com’è, cupo e chino sull’orizzonte concreto della sua storia,
ha perso forse la grande speranza; spera in piccoli orizzonti. Il pellegrinaggio,
ma anche – dovremmo dire – la grande predicazione della Chiesa, è quella di indicare
la meta ultima ed estrema della storia e dell’essere umano. Dobbiamo più spesso, noi
credenti, essere testimoni di un’esistenza che non ha – alla fine – come un fiume,
l’estuario nel baratro del nulla, ma una soglia aperta oltre la quale c’è Dio che
attende e che attende la Creatura umana per ri-abbracciarla, quella Creatura che era
uscita dalle sue mani. **********