2007-02-10 16:37:09

Nel giorno del Ricordo Napolitano denuncia il silenzio sulle foibe


(10 febbraio 2007 - RV) Oggi, l'Italia celebra il "Giorno del Ricordo", in memoria delle vittime delle Foibe, le profonde cavità carsiche in cui trovarono la morte, gettati dalle truppe comuniste di Tito, dai 10 ai 15 mila italiani, e delle drammatiche vicende che hanno interessato il confine nord-orientale subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Celebrando la Giornata al Quirinale, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha parlato della necessità di riconoscere “la responsabilità dell'aver negato o teso ad ignorare la verità, per pregiudiziali ideologiche e cecità politica e dell'averla rimossa, per calcoli diplomatici e convenienze internazionali”. Ma perché per tanti anni c’è stato il silenzio delle Foibe? Alessandro Guarasci lo ha chiesto allo storico Gianni Oliva: RealAudioMP3


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R. – Per tre silenzi che si sono sovrapposti. Il silenzio internazionale, perché quando nel 1948 il maresciallo Tito ha rotto i rapporti con l’Unione Sovietica e, quindi, ha scardinato il monolitismo comunista, l’Occidente ha cominciato a guardare a Tito come ad un interlocutore e gli interlocutori non si mettono in imbarazzo con delle domande difficili. Poi c’è il silenzio di partito, perché il Partito Comunista Italiano di Togliatti aveva tutto l’interesse di non parlare di Foibe. E, infine, per un silenzio di Stato, perché l’Italia dopo il 1945 finge di essere un Paese che ha vinto la guerra e, quindi, rimuove dalla sua memoria tutto ciò che ricorda la sconfitta.


D. – Tutti gli infobati erano – diciamo – all’epoca sostenitori del regime fascista?


R. – Assolutamente no! Quando il maresciallo Tito ha occupato Trieste, ha immaginato una pulizia di carattere etnico-politico. Politico perché Tito voleva annettere alla nuova Jugoslavia tutti i territori sino alla linea del fiume Isonzo e sapeva che per veder riconosciuta questa sua ambizione espansionistica al tavolo delle trattative di pace, doveva far in modo che in quel territorio non ci fosse nessuno in grado di difendere la comunità italiana. Nelle Foibe ci sono, quindi, finiti sicuramente dei fascisti, dei delatori di ebrei e collaborazionisti della Repubblica sociale, ma c’è finito tutto il Comitato di liberazione nazionale della Venezia-Giulia e cioè gli anti-fascisti, che rappresentavano la Nuova Italia ed erano, quindi, un ostacolo ancora maggiore all’ambizione di annessione.


D. – Gli esuli istriani per tanti anni sono stati considerati, dal resto degli italiani, quasi dei cittadini di serie B. Questo perché?


R. – Sono stati considerati cittadini di serie B perché erano dei profughi, che arrivano su un territorio che aveva le difficoltà della ricostruzione e delle condizioni economiche difficili. C’era poi un pregiudizio da parte comunista nei confronti di persone che si ritenevano scappati non dalla Jugoslavia nazionalista, ma dalla Jugoslavia comunista.
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Poche pagine della storia sono state misconosciute e ridotte al silenzio, come quelle che riguardano la questione delle foibe e dell’esodo di circa 300 mila italiani dall’Istria dopo la Seconda Guerra Mondiale e fino al 1954. Una tragedia che ha colpito anche la Chiesa attraverso la persecuzione dei suoi vescovi e sacerdoti. Adriana Masotti ha chiesto al vescovo di Trieste, mons. Eugenio Ravignani, se oggi si è fatta piena luce su quanto accaduto e sulle diverse responsabilità: RealAudioMP3


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R. – Penso che si sia sulla strada buona, quella della ricerca leale della verità, da ambedue le parti. Credo però che se si pensi di poter giungere, anche in tempi relativamente brevi, ad una storia condivisa, sarà molto difficile; ci sarà sempre, nella storiografia, qualche cosa che accentuerà uno o l’altro degli aspetti di un evento tragico, di cui evidentemente è giusto fare memoria, ma di cui è difficile attribuire responsabilità nette, precise.


D. – La persecuzione di quegli anni, nei confronti degli italiani, ha colpito anche uomini di Chiesa ...


R. – La Chiesa è stata vicina in un modo veramente grande, a tutti coloro che hanno lasciato la loro terra, sia nel momento in cui la lasciavano, sia seguendoli poi nei campi profughi in tutta Italia. I nostri sacerdoti sono rimasti sul loro posto fino a quando sono stati costretti a partire, non solo da una persecuzione anti-nazionale, ma da una forte persecuzione anti-cristiana: bisognava, ad un certo momento, cancellare un’identità. Ci sono dei sacerdoti che sono stati uccisi, e io aspetto con ansia che vada avanti la causa di beatificazione di due preti, don Francesco Bonifacio e don Miro Bulesic.


D. – A che punto è la convivenza, ora, tra gli italiani ed i profughi, e anche tra le diverse componenti della città?


R. – Ma, guardi ... la convivenza, oggi, è serena. Io credo che le Chiese hanno un grande compito. Sono quelle che cercano di far vivere davvero un tempo di riconciliazione, di comprensione e – se necessario – uno sforzo generoso di perdono.
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