2007-01-17 17:35:56

Ripresa demografica in Francia e nei Paesi nordeuropei


(17 gennaio 2007 - RV) La Francia campione europeo della natalità nel 2006: con una media di due figli per ciascuna donna, supera ormai l’Irlanda e distanzia ulteriormente Italia e Spagna, che raggiungono un tasso di natalità inferiore ad 1,4 figli per donna. Come si spiegano questi risultati francesi? Risponde France Prioux, demografa dell’Istituto nazionale di studi demografici di Parigi, intervistata da Béthsabée Salem, della nostra redazione francese:
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R. - Sur le plan européen, on a constaté que les pays dont la fécondité était la ...
A livello europeo, si è potuto constatare che i Paesi in cui la natalità è più alta sono quei Paesi in cui non vi è per le madri incompatibilità tra la maternità e il lavoro. La politica familiare francese ha fatto una svolta molto importante negli anni Ottanta: ci sono degli aiuti finanziari per far accudire i bambini. Nel momento in cui non si trova posto negli asili-nido o qualora non si fosse interessati a questo sistema per far accudire i bambini, ci si può rivolgere ad un’assistente materna, una donna che, a casa propria può accudire due o tre o a volte anche quattro bambini. Si lascia il bambino al mattino e si torna a riprenderlo la sera; si ha il diritto ad un contributo mensile per affrontare questa spesa, e allo stesso tempo si ha diritto anche ad una riduzione fiscale in proporzione al costo dell’assistenza materna.
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Se la Francia ha ormai consolidato la sua ripresa demografica, più complessa è la situazione nei Paesi dell’Unione Europea. Secondo le ultime rilevazioni 2005 di “Eurostat”, ad esempio, una chiara tendenza alla ripresa è visibile nei Paesi del Nord Europa. Perché questo fenomeno? Roberto Piermarini lo ha chiesto a Riccardo Cascioli, presidente del CESPAS, il Centro Studi su Popolazione Ambientale e Sviluppo:
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R. – Da una parte, alcuni Paesi hanno adottato negli ultimi anni delle politiche nataliste, soprattutto i Paesi scandinavi, ma anche la Francia, e questo rappresenta certamente un fatto. Dall’altra parte, si assiste però anche ad un ritardo nell’età media della prima maternità e questo può voler dire che c’è una concentrazione: le donne che non rimanevano incinte negli anni passati, cominciano ad esserlo ora, ritardando la maternità. Questo fattore, unito al fatto che la popolazione femminile, tra i 20 e i 40 anni, quindi in età fertile, sta diminuendo in termini assoluti, può anche voler dire che questo aumento della fertilità può essere transitorio. Sarà, quindi, importante vedere poi la tendenza dei prossimi anni.
D. – Perché nei Paesi dell’Est, c’è un basso tasso di fertilità?
R. – Nei Paesi dell’Est, c’è stato un crollo della fertilità, dovuto soprattutto alla crisi succeduta alla caduta del comunismo. Ci sono un insieme di fattori, sicuramente economici perché le economie dell’Est Europa hanno attraversato un decennio di gravissima difficoltà, ma anche l’incertezza del futuro e questo rappresenta un aspetto molto importante. Sicuramente i governi non si sono molti occupati della questione.
D. – Cosa incide sulla diminuzione della fertilità nei Paesi più cattolici?
R. – I Paesi cattolici e quindi Italia, Spagna, Portogallo, ma vediamo lo stesso fenomeno un po’ ritardato anche in Irlanda e in Polonia, hanno avuto per lungo tempo tassi di fertilità superiori alla media europea, soprattutto fino alla metà degli anni Settanta. C’è stato poi questo crollo, improvviso, che ha portato a tassi di fertilità bassissimi, molto più bassi della media europea. Questo si deve ad alcuni fattori che riguardano essenzialmente, da una parte, l’avanzata rapida della secolarizzazione, quindi la diminuzione della pratica religiosa, ma soprattutto lo scollamento tra quello che è l’insegnamento morale della Chiesa e l’aderenza dei cattolici a questo insegnamento. Quindi la contraccezione, il divorzio, l’aborto, rappresentano un primo fattore di questa tendenza. L’altra questione riguarda invece il fatto che la Chiesa cattolica, le istituzioni cattoliche garantivano una rete importantissima di servizi alla famiglia e all’infanzia che è venuta meno con il venir meno delle vocazioni, soprattutto quelle religiose femminili. Ricordiamo che fino alla metà degli anni Sessanta, oltre il 70 per cento degli asili nido e delle scuole materne in Italia erano gestite da suore. Venendo meno in larga parte questa rete, si è creato ovviamente un ulteriore problema per le famiglie. Oltretutto nei Paesi cattolici le famiglie avevano costituito una rete importante, che riempiva anche il vuoto dello Stato. Venendo meno anche i valori legati alla famiglia, si è creato un vuoto anche a livello pubblico che ha sicuramente inciso molto negativamente sulla fertilità.
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L’Italia dunque è tra i Paesi con il più basso numero di nuovi nati. Ma come spiegare questo dato? Tiziana Campisi lo ha chiesto a Paola Soave, vicepresidente del Forum delle associazioni familiari:
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R. – Il primo fattore è che oggi la donna identifica la sua realizzazione, molto spesso, con una buona posizione lavorativa se non addirittura con la carriera. D’altro canto, è anche vero che, molto spesso, in una famiglia è necessario che tutti e due i futuri genitori lavorino, perché altrimenti non ci sono entrate sufficienti. L’aspetto più socio-politico è legato oggi alle condizioni appunto di lavoro, sempre abbastanza precario, alla difficoltà di trovare una casa, e ancora ai presupposti necessari per metter su famiglia, quindi il condividere con un partner, l’assumersi la responsabilità di mettere al mondo dei figli. In pratica, in Italia, le difficoltà stanno in un certo tipo di cultura che vuole allontanare le responsabilità.
D. – Il basso tasso di natalità dunque in Italia è legato ad una serie di difficoltà oggettive, ma lei accenna anche ad una crisi di valori ...
R. – Diciamo che oggi c’è un diverso immaginario della propria realizzazione. In questo la donna è spinta da una società che non identifica più nelle responsabilità, e soprattutto nelle responsabilità familiari, un modello particolarmente positivo, tant’è vero che oggi l’emergenza del Paese non sembra quella di dire: ‘Sosteniamo i giovani che vogliono sposarsi e che vogliono creare una famiglia’, ma: ‘Equipariamo le coppie di fatto alla famiglia”, il che vanifica la scelta di responsabilità nel metter su famiglia. Tutto sommato, in ciò, emerge una società tesa più che ad investire sul futuro, anche facendo dei sacrifici, a consumare il presente.
D. – Secondo lei, in che modo è possibile superare questa situazione “di stallo”, in Italia?
R. – Ci vorrebbe una grande azione di tipo culturale, un riproporre, anche attraverso i media, rendendo visibile il positivo dell’essere famiglia e dell’essere madri e padri, tutta questa maggioranza silenziosa che sono le famiglie assolutamente normali, con figli, che fanno sacrifici per i loro figli, che investono sul futuro. Ma sono necessarie anche delle politiche che permettano di fare delle scelte familiari, delle politiche di sostegno e di promozione, politiche della casa, che aiutino le giovani coppie, politiche fiscali che riconoscano il carico dei figli, politiche dei servizi, politiche che facciano del lavoro non l’idolo che, in fin dei conti, schiaccia la famiglia, ma la risorsa che permette di fare famiglia.
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