Reazioni e commenti all'audizione di mons. Betori alla Camera sulla libertà religiosa
(10 gennaio 2007 - RV) Confronto aperto in Italia sulla libertà religiosa: due proposte
di legge in materia, primi firmatari Marco Boato dei Verdi e Valdo Spini dell’Ulivo,
sono all’esame del Parlamento. Per questo ieri la Commissione Affari costituzionali
della Camera ha aperto le audizioni con i rappresentanti delle varie confessioni per
un’indagine conoscitiva, tra questi mons. Giuseppe Betori, segretario generale della
Conferenza episcopale italiana, accompagnato dal prof. Venerando Marano, docente di
diritto ecclesiastico, direttore dell’Osservatorio giuridico della stessa CEI. Il
servizio di Roberta Gisotti:
********** La Chiesa italiana ha espresso
“sostanziale apprezzamento” per lo spirito “riformatore” dei due testi, condividendo
il processo di partecipazione democratica al dibattito “in un quadro di effettivo
pluralismo e di corretta laicità”. Ma ci sono dei punti nodali da approfondire e chiarire
per non aprire la strada a pericolose derive giuridiche in un crescente contesto di
“interculturalismo e multietnicità”. Tali distinguo – espressi da mons. Betori - hanno
sollevato reazioni tra esponenti di altre religioni e nel mondo politico. Di questo
parliamo con il prof. Venerando Marano.
D. - Tra gli aspetti salienti, forse
il più contestato, il segretario generale della CEI ha sottolineato “che eguale libertà
di tutte le confessioni non implica piena uguaglianza di trattamento”. Cosa vuol significare
questa distinzione?
R. – La disciplina del fenomeno religioso, che emerge
dal disegno costituzionale in tutta chiarezza, riconosce - da un lato - la piena uguaglianza
nella libertà a tutte le confessioni e - dall’altro lato - prevede una condizione
giuridica differenziata per la Chiesa cattolica, secondo quanto disciplinato e previsto
dall’art. 7 della Costituzione, e per le confessioni diverse dalla cattolica, secondo
invece quanto previsto dall’art. 8, ai commi 2 e 3 di questa disposizione. Rispetto
a questo disegno, non si può ignorare la necessità di non prevedere discipline uguali
per realtà che sono diverse. Questa previsione di discipline differenziate non è discriminatoria,
ma risponde ad una corretta lettura del principio di uguaglianza. Non significa, come
taluni ritiene, un passo indietro, ma un rispetto della realtà storica e dei principi
fondamentali dell’ordinamento repubblicano. Voglio ricordare che in occasione della
recente revisione del Concordato con la Chiesa cattolica nell’84, tale revisione è
stata ritenuta – malgrado la differenza di trattamento a favore della Chiesa cattolica
– pienamente compatibile con la disciplina dell’art. 8 della Costituzione da parte
di tutta la dottrina e da parte di tutti i commentatori.
D. – Prof. Marano,
altra notazione della CEI è che lo Stato debba negare riconoscimento a realtà “che
si pongano in contrasto con i diritti fondamentali dell’uomo e i principi della civile
convivenza”. Perché si rende necessario ribadire questo concetto che appare scontato?
R.
– Lo è stato in realtà scontato fino, probabilmente, ad un decennio or sono, se vogliamo
contestualizzare e provare ad indicare un riferimento temporale. In realtà, nel periodo
più recente, si sono diffusi anche nel nostro Paese nuovi movimenti religiosi estranei
alla tradizione giudaico-cristiana che provocano - come è stato sottolineato nell’audizione
del segretario generale della CEI - reazioni di diffidenza e di allarme sociale. E’
altresì noto che nel nostro Paese, nel corso degli ultimi anni, si sono radicati gruppi
sociali con identità culturali e religiose diverse da quelle tradizionali. Rispetto
a questi gruppi si avverte ora, in termini nuovi, l’esigenza di un apprezzamento prudente,
per far sì che non trovino riconoscimento e garanzie in Italia quelle pratiche e quelle
teorie che si pongono in contrasto con i principi cardini della nostra civiltà giuridica
e della nostra convivenza.
D. - Mons. Betori ha richiamato in particolare
il rischio di affermare la liceità della poligamia, un modello di matrimonio che offende
gravemente la dignità femminile…
R. – Certamente e questo è uno dei problemi
più dibattuti. In realtà una corretta lettura della previsione delle norme e delle
proposte di legge in esame, relative a questo aspetto, non consente di dedurre nessuna
fonte di riconoscimento o di favore per il matrimonio poligamico.
D. –
Questo ci rassicura….
R. – Sicuramente e non solo perché non c’entra nulla
il matrimonio poligamico con questa previsione sulla libertà religiosa, ma anche perché
esistono nel nostro ordinamento precise previsioni – penso all’art. 86 del Codice
Civile sul divieto di bigamia, penso alle previsioni del Codice Penale che sanciscono
tali comportamenti – che impediscono qualsiasi ipotesi di matrimonio poligamico e
lo rendono illegittimo oltre che contrastante - come è noto - con i principi cardine
del nostro ordinamento costituzionale.
D. – Infine, una precisazione sulle
intese concordatarie che non sono un diritto – ha spiegato mons. Betori - ma piuttosto
legate ad un principio di discrezionalità dello Stato. Cosa significa questo?
R.
– Su questo profilo è, forse, opportuno fare chiarezza. Non si tratta di una novità,
ma bensì della riaffermazione di quello che nella prassi degli ultimi decenni - iniziata
ossia nella metà degli anni Ottanta - è sempre stata seguita dai nostri diversi governi
e che è pienamente rispettosa della previsione costituzionale. E questo vuol significare
che qualora la decisione circa l’eventuale stipulazione di intese con questo e con
quel soggetto confessionale è ultimamente rimessa ad una valutazione discrezionale
dell’Esecutivo, che è naturalmente non arbitraria, è ancorata ad una serie di presupposti
e di parametri oggettivi, che debbono essere quanto più possibile individuati, ma
che deve rimanere. E questo perché è da escludere, è da limitare e bisognerebbe evitare
il rischio che soggetti che nulla hanno a che vedere con la religione, possano poi
pretendere, in nome di un diritto all’intesa, che in realtà non esiste, una legislazione
bilaterale.
D. – O anche di movimenti che si presentano come religiosi
e che, però, propongono degli orientamenti di vita che collidono con le leggi dello
Stato….
R. – Certo, pensiamo all’ipotesi della richiesta di un culto satanico
di essere riconosciuto come gruppo religioso o di un gruppo ateistico di essere riconosciuto
in nome di questa o di quella disposizione della legge sulla libertà religiosa od
ancora di alcune nuove pseudo religioni di chiedere l’intesa: tutte queste ipotesi
possono e debbono essere respinte sulla base di un corretto esercizio del margine
di discrezionalità che il nostro sistema prevede a favore dello Stato. **********