La semplice forza di Gesù Bambino, un invito alla solidarietà con l'infanzia specie
se sofferente: così il Papa alla Messa della Notte Santa
(25 dicembre 2006 - RV) “Dio si è fatto piccolo affinché noi potessimo comprenderLo,
accoglierLo, amarLo”: è il cuore dell’omelia pronunciata da Benedetto XVI nella Santa
Messa della notte di Natale nella Basilica Vaticana. “Il bambino di Betlemme – ha
sottolineato, tra l’altro, il Papa – dirige il nostro sguardo verso tutti i bambini
sofferenti ed abusati nel mondo, i nati come i non nati”. Il servizio di Roberta Moretti:
Di seguito,
il testo e l'audio integrali dell'omelia del Papa alla Messa della Notte di Natale:
ascolta
l'omelia:
Cari fratelli
e sorelle! Abbiamo appena ascoltato nel Vangelo la parola che gli Angeli, nella
Notte santa, hanno detto ai pastori e che ora la Chiesa grida a noi: "Oggi vi è nato
nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno:
troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia (Lc 2,11s). Niente
di meraviglioso, niente di straordinario, niente di magnifico viene dato come segno
ai pastori. Vedranno soltanto un bambino avvolto in fasce che, come tutti i bambini,
ha bisogno delle cure materne; un bambino che è nato in una stalla e perciò giace
non in una culla, ma in una mangiatoia. Il segno di Dio è il bambino nel suo bisogno
di aiuto e nella sua povertà. Soltanto col cuore i pastori potranno vedere che in
questo bambino è diventata realtà la promessa del profeta Isaia, che abbiamo ascoltato
nella prima lettura: "Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle
sue spalle è il segno della sovranità" (Is 9,5). Anche a noi non è stato dato un segno
diverso. L'angelo di Dio, mediante il messaggio del Vangelo, invita anche noi ad incamminarci
col cuore per vedere il bambino che giace nella mangiatoia.
Il segno di Dio
è la semplicità. Il segno di Dio è il bambino. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo
per noi. È questo il suo modo di regnare. Egli non viene con potenza e grandiosità
esterne. Egli viene come bambino – inerme e bisognoso del nostro aiuto. Non vuole
sopraffarci con la forza. Ci toglie la paura della sua grandezza. Egli chiede il nostro
amore: perciò si fa bambino. Nient'altro vuole da noi se non il nostro amore, mediante
il quale impariamo spontaneamente ad entrare nei suoi sentimenti, nel suo pensiero
e nella sua volontà – impariamo a vivere con Lui e a praticare con Lui anche l'umiltà
della rinuncia che fa parte dell'essenza dell'amore. Dio si è fatto piccolo affinché
noi potessimo comprenderLo, accoglierLo, amarLo. I Padri della Chiesa, nella loro
traduzione greca dell'Antico Testamento, trovavano una parola del profeta Isaia che
anche Paolo cita per mostrare come le vie nuove di Dio fossero già preannunciate nell'Antico
Testamento. Lì si leggeva: "Dio ha reso breve la sua Parola, l'ha abbreviata" (Is
10,23; Rom 9,28). I Padri lo interpretavano in un duplice senso. Il Figlio stesso
è la Parola, il Logos; la Parola eterna si è fatta piccola – così piccola da entrare
in una mangiatoia. Si è fatta bambino, affinché la Parola diventi per noi afferrabile.
Così Dio ci insegna ad amare i piccoli. Ci insegna così ad amare i deboli. Ci insegna
in questo modo il rispetto di fronte ai bambini. Il bambino di Betlemme dirige il
nostro sguardo verso tutti i bambini sofferenti ed abusati nel mondo, i nati come
i non nati. Verso i bambini che, come soldati, vengono introdotti in un mondo di violenza;
verso i bambini che devono mendicare; verso i bambini che soffrono la miseria e la
fame; verso i bambini che non sperimentano nessun amore. In tutti loro è il bambino
di Betlemme che ci chiama in causa; ci chiama in causa il Dio che si è fatto piccolo.
Preghiamo in questa notte, affinché il fulgore dell’amore di Dio accarezzi tutti questi
bambini, e chiediamo a Dio di aiutarci a fare la nostra parte perché sia rispettata
la dignità dei bambini; che per tutti sorga la luce dell’amore, di cui l’uomo ha più
bisogno che non delle cose materiali necessarie per vivere.
Con ciò siamo arrivati
al secondo significato che i Padri hanno trovato nella frase: “Dio ha abbreviato la
sua Parola”. La Parola che Dio ci comunica nei libri della Sacra Scrittura era, nel
corso dei tempi, diventata lunga. Lunga e complicata non solo per la gente semplice
ed analfabeta, ma addirittura ancora di più per i conoscitori della Sacra Scrittura,
per i dotti che, chiaramente, s’impigliavano nei particolari e nei rispettivi problemi,
non riuscendo quasi più a trovare una visione d'insieme. Gesù ha “reso breve” la Parola
– ci ha fatto rivedere la sua più profonda semplicità e unità. Tutto ciò che ci insegnano
la Legge e i profeti è riassunto – dice – nella parola: “Amerai il Signore Dio tuo
con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente… Amerai il prossimo
tuo come te stesso” (Mt 22,37-40). Questo è tutto – l’intera fede si risolve in quest’unico
atto d’amore che abbraccia Dio e gli uomini. Ma subito riemergono delle domande: Come
possiamo amare Dio con tutta la nostra mente, se stentiamo a trovarlo con la nostra
capacità mentale? Come amarLo con tutto il nostro cuore e la nostra anima, se questo
cuore arriva ad intravederLo solo da lontano e percepisce tante cose contraddittorie
nel mondo che velano il suo volto davanti a noi? A questo punto i due modi in cui
Dio ha “fatto breve” la sua Parola s’incontrano. Egli non è più lontano. Non è più
sconosciuto. Non è più irraggiungibile per il nostro cuore. Si è fatto bambino per
noi e ha dileguato con ciò ogni ambiguità. Si è fatto nostro prossimo, ristabilendo
in tal modo anche l’immagine dell’uomo che, spesso, ci appare così poco amabile. Dio,
per noi, si è fatto dono. Ha donato se stesso. Si prende tempo per noi. Egli, l’Eterno
che è al di sopra del tempo, ha assunto il tempo, ha tratto in alto il nostro tempo
presso di sé. Natale è diventato la festa dei doni per imitare Dio che ha donato se
stesso a noi. Lasciamo che il nostro cuore, la nostra anima e la nostra mente siano
toccati da questo fatto! Tra i tanti doni che compriamo e riceviamo non dimentichiamo
il vero dono: di donarci a vicenda qualcosa di noi stessi! Di donarci a vicenda il
nostro tempo. Di aprire il nostro tempo per Dio. Così si scioglie l'agitazione. Così
nasce la gioia, così si crea la festa. E ricordiamo nei banchetti festivi di questi
giorni la parola del Signore: “Quando offri un banchetto, non invitare quanti ti inviteranno
a loro volta, ma invita quanti non sono invitati da nessuno e non sono in grado di
invitare te” (cfr Lc 14,12-14). E questo significa, appunto, anche: Quando tu per
Natale fai dei regali, non regalare qualcosa solo a quelli che, a loro volta, ti fanno
regali, ma dona a coloro che non ricevono da nessuno e che non possono darti niente
in cambio. Così ha agito Dio stesso: Egli ci invita al suo banchetto di nozze che
non possiamo ricambiare, che possiamo solo con gioia ricevere. Imitiamolo! Amiamo
Dio e, a partire da Lui, anche l’uomo, per riscoprire poi, a partire dagli uomini,
Dio in modo nuovo!
Così si schiude infine ancora un terzo significato dell'affermazione
sulla Parola diventata “breve” e “piccola”. Ai pastori era stato detto che avrebbero
trovato il bambino in una mangiatoia per gli animali, che erano i veri abitanti della
stalla. Leggendo Isaia (1,3), i Padri hanno dedotto che presso la mangiatoia di Betlemme
c’erano un bue e un asino. Al contempo hanno interpretato il testo nel senso che in
ciò vi sarebbe un simbolo dei giudei e dei pagani – quindi dell’umanità intera – i
quali abbisognano, gli uni e gli altri a modo loro, di un salvatore: di quel Dio che
si è fatto bambino. L’uomo, per vivere, ha bisogno del pane, del frutto della terra
e del suo lavoro. Ma non vive di solo pane. Ha bisogno di nutrimento per la sua anima:
ha bisogno di un senso che riempia la sua vita. Così, per i Padri, la mangiatoia degli
animali è diventata il simbolo dell’altare, sul quale giace il Pane che è Cristo stesso:
il vero cibo per i nostri cuori. E vediamo ancora una volta, come Egli si sia fatto
piccolo: nell’umile apparenza dell’ostia, di un pezzettino di pane, Egli ci dona se
stesso.
Di tutto ciò parla il segno che fu dato ai pastori e che vien dato
a noi: il bambino che ci è stato donato; il bambino in cui Dio si è fatto piccolo
per noi. Preghiamo il Signore di donarci la grazia di guardare in questa notte il
presepe con la semplicità dei pastori per ricevere così la gioia con la quale essi
tornarono a casa (cfr Lc 2,20). Preghiamolo di darci l’umiltà e la fede con cui san
Giuseppe guardò il bambino che Maria aveva concepito dallo Spirito Santo. Preghiamo
che ci doni di guardarlo con quell’amore, con cui Maria l’ha osservato. E preghiamo
che così la luce, che i pastori videro, illumini anche noi e che si compia in tutto
il mondo ciò che gli angeli cantarono in quella notte: “Gloria a Dio nel più alto
dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Amen!