2006-12-23 13:53:21

Mons. Moretti spiega il "no" del Vicariato di Roma ai funerali religiosi per Piergiorgio Welby


(23 dicembre 2006 - RV) Sta suscitando reazioni di segno opposto la decisione assunta ieri dal Vicariato di Roma di non concedere la celebrazione delle esequie ecclesiastiche per Piergiorgio Welby, il malato di distrofia muscolare progressiva morto mercoledì sera, dopo aver più volte chiesto di non voler continuare a dipendere dal respiratore automatico che lo teneva in vita. Nel suo comunicato, il Vicariato di Roma spiega che “a differenza dai casi di suicidio nei quali si presume la mancanza delle condizioni di piena avvertenza e deliberato consenso”, la volontà “di porre fine alla propria vita” del dott. Welby era “ripetutamente e pubblicamente affermata” e ciò, si osserva nella nota, “contrasta con la dottrina cattolica”. Tuttavia, conclude il comunicato, non vengono meno “la preghiera della Chiesa per l’eterna salvezza del defunto e la partecipazione al dolore dei congiunti”. Su questa vicenda dai complessi risvolti umani ed etici, Alessandro De Carolis ha chiesto un commento all’arcivescovo Luigi Moretti, vicegerente della diocesi di Roma: RealAudioMP3

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R. - I motivi si inseriscono in quella che è la tradizione costante della Chiesa, che non può approvare la volontà di togliersi la vita. E questo proprio perché noi crediamo che la vita sia un bene che ci viene donato. Nella prassi normale, quando ci sono casi di persone che rifiutano la vita, in situazioni in cui non sempre si riesce a comprendere quale sia lo stato di libertà, di consapevolezza, i funerali poi si fanno affidando sempre tutto alla misericordia di Dio, perché nessuno di noi è giudice. In questo caso, invece, c’è un discorso diverso, legato non tanto al voler essere noi i giudici - perché questo, lo ripeto, non spetta certo a noi - ma al modo in cui è stata condotta la vicenda di questa sofferenza e di questa morte, anche per prese di posizioni dello stesso malato, di coloro che sono entrati in questa vicenda d i familiari stessi. A questo punto, il segno che la Chiesa poteva dare era semplicemente quello di riconoscere e prendere atto di una volontà espressa che, come tutte le scelte, ovviamente va a collocarsi all’interno di una responsabilità che porta con sé delle conseguenze. Non possiamo, quindi, dare dei segnali contraddittori anche per le persone.


D. - Nonostante l’estrema coerenza e fedeltà ai propri principi morali, la decisione di non concedere le esequie religiose ha suscitato reazioni di critica anche in chi, per scelta ideologica, è normalmente schierato contro la Chiesa cattolica…


R. - In questi casi, tutto serve ad alimentare le polemiche. Io credo che meriterebbe più rispetto il mistero della morte: non può diventare tutto oggetto di polemiche e di strumentalizzazioni. Io credo che l’appartenenza alla fede, l’appartenenza alla Chiesa non sia semplicemente un qualcosa di soggettivo. La scelta della fede è una scelta di libertà e la scelta della coerenza nella fede è il minimo che si possa chiedere e che ci chiede il Signore.


D. - In che modo in queste settimane la Chiesa, come afferma il comunicato del Vicariato, è stata vicina al dolore dei familiari di Welby?


R. - E’ risaputo che i sacerdoti della loro parrocchia sono stati e sono in costante rapporto con loro, portando loro il conforto di una parola di speranza, di una parola cristiana. Questo può continuare e continuerà. Certamente, come Chiesa ci facciamo carico delle sofferenze delle persone.


D. - Cosa le ha lasciato dentro, eccellenza, questa vicenda?

R. - Mi ha fatto ripensare molto alla malattia e alla morte di Giovanni Paolo II. Anche lì si trattava di una morte portata in pubblico, ma da essa veniva un grande messaggio di speranza, di amore alla vita, di consapevolezza che la vita anche in quelle situazioni è un grande valore, è una grande opportunità. Da questa parte, invece, si è voluto mostrare che si trattava di una vita non all’altezza di esser vissuta. E qui, credo, c’è la responsabilità di tutti nel creare le condizioni affinché la vita possa essere sempre e comunque amata ed apprezzata. Questa è l’esperienza più vera che mi rimane dentro. Oggi, purtroppo e sempre di più, accade la vita la si apprezzi solo rientra in certi canoni, in certe prospettive, in certe logiche. E credo che ciò sia una forma di impoverimento della vita.
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