(17 dicembre 2006 - RV) Curare i rapporti con le popolazioni nomadi e promuovere una
pastorale che non sfoci soltanto in un semplice assistenzialismo: sono gli obiettivi
che i direttori nazionali della pastorale per gli Zingari si propongono al fine di
favorire l’integrazione delle minoranze. Di questi argomenti si è discusso nei giorni
scorsi a Roma all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio della pastorale per i
migranti e gli itineranti. Un’occasione che ha consentito pure di approfondire lo
studio del documento “Orientamenti per una pastorale degli Zingari”. Giovanni Peduto
ha chiesto a mons. Pietro Gabella, direttore dell’Ufficio nazionale della Conferenza
episcopale italiana per la pastorale dei Rom e dei Sinti, qual è la realtà, oggi,
degli Zingari:
********** R. – È una minoranza che, oltre a non essere
capita, ha una storia di sofferenza enorme, che viene un po’ misconosciuta. Se non
si parte da una presa di coscienza di queste sofferenze che ci sono state, e che continuano
da quando queste persone sono in mezzo a noi, non si possono nemmeno capire tutte
le loro condizioni, il loro modo di vivere e quelle cose che a noi sembrano gravi,
certi loro sbagli. Nel corso dell’incontro si è chiarito un pò come il “sopravvivere”
ha delle regole differenti dal “vivere”: il “vivere” segue un determinato tipo di
regole, mentre il “sopravvivere” fa emergere di più la furbizia. Ma non è colpa di
chi sopravvive, se per sopravvivere deve usare la furbizia. Riuscendo a capire questo,
la Chiesa può anche trovare le strade per superare le difficoltà che sussistono nel
rapportarsi con queste persone e quindi impegnarsi, a lunga scadenza, per creare con
queste minoranze dei rapporti nuovi. Bisogna imparare a dare fiducia alle persone:
se abbiamo di fronte delle persone che ci danno fiducia, anche quando sbagliamo, siamo
pronti a riprendere il cammino e a ricominciare finché non ci perfezioniamo; se abbiamo,
invece, di fronte delle persone che costantemente ci condannano, i nostri errori diventano
– per noi – delle virtù. E’ quindi importante questo tentare di dare fiducia e di
avere la pazienza, che è poi la pazienza di Dio.
D. – Lei, come direttore
nazionale della pastorale per gli zingari in Italia, avrà ben presente il quadro della
situazione, appunto, italiana. Ce la può descrivere?
R. – Siamo abbastanza
pochi noi che ci dedichiamo a questo tipo di pastorale. L’impegno della Chiesa italiana
è più sul campo dell’assistenza. Noi veniamo colpiti più dai bisogni che non dalle
persone. Ma non è bello fermarci sui bisogni, bisogna incontrare le persone, perché
proprio incontrandole scopriamo che hanno anche dei bisogni; come del resto noi riveliamo
i nostri bisogni quando gli altri ci incontrano. Se uno viene incontro a me, non per
i miei limiti, non per i miei peccati, non per i miei bisogni, ma perché io sono una
persona, allora con questa persona posso colloquiare, posso anche confidare i miei
limiti e possiamo aiutarci anche a portarli insieme. Ecco, questa è la filosofia di
fondo che stiamo tentando di raccomandare a tutte le diocesi quando devono affrontare
le problematiche che riguardano gli Zingari. **********