Il Papa all'Angelus pensa al Natale di chi soffre e invita quanti sono nella prova
ad accogliere la profezia di salvezza di Gesù, sorgente della vera gioia. Appello
per i profughi iracheni
(17 dicembre 2006 - RV) Riscoprire “il segreto autentico del Natale” significa accogliere
la promessa del Cristo che viene a portarci la “vera gioia”. E’ quanto in sintesi
ha detto oggi il Papa all’Angelus in una Piazza San Pietro affollata di pellegrini
nonostante la giornata piovosa. Benedetto XVI si è rivolto in particolare a quanti
sono nella prova, a coloro che vivono il dramma della guerra, specialmente in Medio
Oriente e in Africa, e a tutti i malati che si sentono abbandonati, invitandoli ad
affidarsi “con coraggio e umiltà” al Signore che “è vicino”. Quindi lancia un appello
alla solidarietà per le centinaia di migliaia di profughi iracheni costretti a lasciare
il proprio Paese sconvolto dalle violenze. Il servizio di Sergio Centofanti.
********* Il
Natale è ormai alle porte. Il Papa ripete l’esortazione di San Paolo che risuona nella
terza Domenica di Avvento: “Rallegratevi nel Signore sempre … il Signore è vicino”. “E’
Lui che ci porta salvezza … conosce e ama ognuno di noi”. E’ un invito alla gioia
– sottolinea Benedetto XVI – che non è riservato solo ai cristiani: “è un annuncio
profetico destinato all’umanità intera, in modo particolare ai più poveri, in questo
caso ai più poveri di gioia!”:
“Pensiamo ai nostri fratelli e sorelle che,
specialmente in Medio Oriente, in alcune zone dell’Africa ed in altre parti del mondo
vivono il dramma della guerra: quale gioia possono vivere? Come sarà il loro Natale?
Pensiamo a tanti ammalati e persone sole che, oltre ad essere provati nel fisico,
lo sono anche nell’animo, perché non di rado si sentono abbandonati: come condividere
con loro la gioia senza mancare di rispetto alla loro sofferenza?”
Il Pontefice
rivolge il suo pensiero anche “alle centinaia di migliaia di profughi irakeni in
Siria, costretti a lasciare il loro Paese a causa della drammatica situazione che
vi si sta vivendo”:
“In loro favore si sta già impegnando a fondo la Caritas
della Siria; mi rivolgo tuttavia alla sensibilità dei privati, delle Organizzazioni
internazionali e dei Governi, perché si facciano ulteriori sforzi per venire incontro
ai loro più urgenti bisogni. Elevo al Signore la mia preghiera, perché dia conforto
a questi fratelli e sorelle e muova a generosità il cuore di tanti”.
Il Papa
pensa poi “a coloro – specialmente ai giovani – che hanno smarrito il senso della
vera gioia, e la cercano invano là dove è impossibile trovarla: nell’esasperata corsa
verso l’autoaffermazione e il successo, nei falsi divertimenti, nel consumismo, nei
momenti di ebbrezza, nei paradisi artificiali della droga e di ogni forma di alienazione.
Non possiamo non mettere a confronto la liturgia di oggi e il suo ‘Rallegratevi!’
– rileva il Pontefice - con queste drammatiche realtà”:
“E’ proprio a chi
è nella prova, ai ‘feriti della vita ed orfani della gioia’ che si rivolge in modo
privilegiato la Parola del Signore. L’invito alla gioia non è un messaggio alienante,
né uno sterile palliativo, ma, al contrario, é profezia di salvezza, appello ad un
riscatto che parte dal rinnovamento interiore”.
“Per trasformare il mondo –
ha proseguito il Papa - Dio ha scelto un’umile fanciulla di un villaggio della Galilea,
Maria di Nazaret, e l’ha interpellata con questo saluto: ‘Rallégrati, piena di grazia,
il Signore è con te’”:
“In quelle parole sta il segreto dell’autentico Natale.
Dio le ripete alla Chiesa, a ciascuno di noi: Rallegratevi, il Signore è vicino! Con
l’aiuto di Maria, offriamo noi stessi, con umiltà e coraggio, perché il mondo accolga
Cristo, che è la sorgente della vera gioia”.
Al termine dell’Angelus il Papa
ha salutato tra gli altri i lavoratori delle aziende del Gruppo Telecom Italia, la
società “Pallacanestro Cantù” che ricorda i 70 anni di attività, il corteo storico-folcloristico
organizzato dall’Accademia “Nuova Ellade Italia” e l’associazione culturale “Per una
speranza in più”, di Verona. Quindi ha benedetto le statuette di Gesù Bambino portate
in Piazza San Pietro da tanti ragazzi e dalle loro famiglie e che poi verranno poste
nel presepe la Notte di Natale:
“Cari ragazzi, davanti al presepe, pregate
Gesù anche per le intenzioni del Papa! Vi ringrazio e vi auguro un buon Natale!” ************
Oggi
il presepe e in genere i tanti segni che ci richiamano alla gioia del Natale sono
talvolta messi in discussione proprio nelle società tradizionalmente cristiane. Ma
come riscoprire il valore del presepe e di questi segni? Luca Collodi lo ha chiesto
a mons. Diego Coletti, vescovo di Livorno e presidente della Commissione della CEI
per l’educazione cattolica, la scuola e l’università:
********** R. – Io
credo che il valore del Presepe, come gesto di descrizione simbolica di un evento
come quello dell’Incarnazione del Figlio di Dio, sia un’occasione da non perdere sia
a livello pubblico – nelle chiese, nelle parrocchie e, non ci vedrei niente di male,
anche nelle scuole – sia a livello a familiare. Ricordo una famiglia che aveva inventato
di costruire il Presepe un pezzetto per sera durante tutta la novena di preparazione
del Natale: ogni sera c’era qualcosa di bello, qualcosa di nuovo. E’ come una forma
di grande catechesi.
D. – Mons. Coletti, ci sono stati alcuni episodi di cronaca
e la decisione di alcuni grandi centri commerciali italiani di non mettere in vendita
le statuine del Presepe. Qui si è aperta la polemica: alcune grandi catene hanno detto
che era una decisione prettamente commerciale, perché le statuine non si vendevano;
altri rispondevano invece che era per paura di offendere gli islamici…
R. –
Io credo che se i motivi sono commerciali, mi domando allora come mai su questo tipo
di prodotti ci si arrende, mentre su altri tipi di prodotti - quando si vogliono promuovere
- si riesce invece benissimo a promuoverli. Non sono così sicuro che la motivazione
puramente commerciale sia quella valida. Se io devo invitare un amico giapponese a
pranzo e magari insieme a lui viene anche un suo collega tunisino ed un altro dell’Alaska,
io cosa devo fare? Siccome appartengono a culture diverse, do a tutti gallette e cose
assolutamente neutre? Non sarà, forse, bello per loro, venendo a casa mia, che si
trovino davanti un menù che è quello tipico della mia cultura, con tutto il suo significato
positivo, di accoglienza, di dono, di apertura? Questa è la cosa che a me sembra venga
a mancare ad una cultura cristiana che, anche nella letteratura e nell’arte, ha donato
e continua a donare delle cose fantastiche, bellissime per la qualità della vita dell’uomo,
nei confronti della quale si dice “no” è meglio censurarsi!
D. – Il Presepe
può essere anche elemento di dialogo con le altre religioni?
R. – Basta riflettere
sul significato della parola dialogo. La parola dialogo vuol dire uno scambio verbale
tra due soggetti. Ma se i due soggetti per poter dialogare devono rinunciare ciascuno
alla propria identità – e qui siamo addirittura al paradosso che ci rinunciamo solo
noi – il dialogo sparisce. Non saremo più accoglienti e più capaci di dialogo, quanto
meno saremo cristiani. Ma al contrario: più siamo cristiani, più siamo anche sanamente
appassionati della verità che abbiamo incontrato nel Vangelo e nella persona di Gesù,
tanto più saremo aperti al dialogo, all’accoglienza, al confronto ed anche all’umiltà
di imparare dall’incontro con altre culture e con altre persone. **********