2006-12-17 12:20:32

Il Papa all'Angelus pensa al Natale di chi soffre e invita quanti sono nella prova ad accogliere la profezia di salvezza di Gesù, sorgente della vera gioia. Appello per i profughi iracheni


(17 dicembre 2006 - RV) Riscoprire “il segreto autentico del Natale” significa accogliere la promessa del Cristo che viene a portarci la “vera gioia”. E’ quanto in sintesi ha detto oggi il Papa all’Angelus in una Piazza San Pietro affollata di pellegrini nonostante la giornata piovosa. Benedetto XVI si è rivolto in particolare a quanti sono nella prova, a coloro che vivono il dramma della guerra, specialmente in Medio Oriente e in Africa, e a tutti i malati che si sentono abbandonati, invitandoli ad affidarsi “con coraggio e umiltà” al Signore che “è vicino”. Quindi lancia un appello alla solidarietà per le centinaia di migliaia di profughi iracheni costretti a lasciare il proprio Paese sconvolto dalle violenze. Il servizio di Sergio Centofanti.


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Il Natale è ormai alle porte. Il Papa ripete l’esortazione di San Paolo che risuona nella terza Domenica di Avvento: “Rallegratevi nel Signore sempre … il Signore è vicino”.
“E’ Lui che ci porta salvezza … conosce e ama ognuno di noi”. E’ un invito alla gioia – sottolinea Benedetto XVI – che non è riservato solo ai cristiani: “è un annuncio profetico destinato all’umanità intera, in modo particolare ai più poveri, in questo caso ai più poveri di gioia!”:

“Pensiamo ai nostri fratelli e sorelle che, specialmente in Medio Oriente, in alcune zone dell’Africa ed in altre parti del mondo vivono il dramma della guerra: quale gioia possono vivere? Come sarà il loro Natale? Pensiamo a tanti ammalati e persone sole che, oltre ad essere provati nel fisico, lo sono anche nell’animo, perché non di rado si sentono abbandonati: come condividere con loro la gioia senza mancare di rispetto alla loro sofferenza?”

Il Pontefice rivolge il suo pensiero anche “alle centinaia di migliaia di profughi irakeni in Siria, costretti a lasciare il loro Paese a causa della drammatica situazione che vi si sta vivendo”:

“In loro favore si sta già impegnando a fondo la Caritas della Siria; mi rivolgo tuttavia alla sensibilità dei privati, delle Organizzazioni internazionali e dei Governi, perché si facciano ulteriori sforzi per venire incontro ai loro più urgenti bisogni. Elevo al Signore la mia preghiera, perché dia conforto a questi fratelli e sorelle e muova a generosità il cuore di tanti”.

Il Papa pensa poi “a coloro – specialmente ai giovani – che hanno smarrito il senso della vera gioia, e la cercano invano là dove è impossibile trovarla: nell’esasperata corsa verso l’autoaffermazione e il successo, nei falsi divertimenti, nel consumismo, nei momenti di ebbrezza, nei paradisi artificiali della droga e di ogni forma di alienazione. Non possiamo non mettere a confronto la liturgia di oggi e il suo ‘Rallegratevi!’ – rileva il Pontefice - con queste drammatiche realtà”:

“E’ proprio a chi è nella prova, ai ‘feriti della vita ed orfani della gioia’ che si rivolge in modo privilegiato la Parola del Signore. L’invito alla gioia non è un messaggio alienante, né uno sterile palliativo, ma, al contrario, é profezia di salvezza, appello ad un riscatto che parte dal rinnovamento interiore”.

“Per trasformare il mondo – ha proseguito il Papa - Dio ha scelto un’umile fanciulla di un villaggio della Galilea, Maria di Nazaret, e l’ha interpellata con questo saluto: ‘Rallégrati, piena di grazia, il Signore è con te’”:

“In quelle parole sta il segreto dell’autentico Natale. Dio le ripete alla Chiesa, a ciascuno di noi: Rallegratevi, il Signore è vicino! Con l’aiuto di Maria, offriamo noi stessi, con umiltà e coraggio, perché il mondo accolga Cristo, che è la sorgente della vera gioia”.

Al termine dell’Angelus il Papa ha salutato tra gli altri i lavoratori delle aziende del Gruppo Telecom Italia, la società “Pallacanestro Cantù” che ricorda i 70 anni di attività, il corteo storico-folcloristico organizzato dall’Accademia “Nuova Ellade Italia” e l’associazione culturale “Per una speranza in più”, di Verona.
Quindi ha benedetto le statuette di Gesù Bambino portate in Piazza San Pietro da tanti ragazzi e dalle loro famiglie e che poi verranno poste nel presepe la Notte di Natale:

“Cari ragazzi, davanti al presepe, pregate Gesù anche per le intenzioni del Papa! Vi ringrazio e vi auguro un buon Natale!”
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Oggi il presepe e in genere i tanti segni che ci richiamano alla gioia del Natale sono talvolta messi in discussione proprio nelle società tradizionalmente cristiane. Ma come riscoprire il valore del presepe e di questi segni? Luca Collodi lo ha chiesto a mons. Diego Coletti, vescovo di Livorno e presidente della Commissione della CEI per l’educazione cattolica, la scuola e l’università:

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R. – Io credo che il valore del Presepe, come gesto di descrizione simbolica di un evento come quello dell’Incarnazione del Figlio di Dio, sia un’occasione da non perdere sia a livello pubblico – nelle chiese, nelle parrocchie e, non ci vedrei niente di male, anche nelle scuole – sia a livello a familiare. Ricordo una famiglia che aveva inventato di costruire il Presepe un pezzetto per sera durante tutta la novena di preparazione del Natale: ogni sera c’era qualcosa di bello, qualcosa di nuovo. E’ come una forma di grande catechesi.

D. – Mons. Coletti, ci sono stati alcuni episodi di cronaca e la decisione di alcuni grandi centri commerciali italiani di non mettere in vendita le statuine del Presepe. Qui si è aperta la polemica: alcune grandi catene hanno detto che era una decisione prettamente commerciale, perché le statuine non si vendevano; altri rispondevano invece che era per paura di offendere gli islamici…

R. – Io credo che se i motivi sono commerciali, mi domando allora come mai su questo tipo di prodotti ci si arrende, mentre su altri tipi di prodotti - quando si vogliono promuovere - si riesce invece benissimo a promuoverli. Non sono così sicuro che la motivazione puramente commerciale sia quella valida. Se io devo invitare un amico giapponese a pranzo e magari insieme a lui viene anche un suo collega tunisino ed un altro dell’Alaska, io cosa devo fare? Siccome appartengono a culture diverse, do a tutti gallette e cose assolutamente neutre? Non sarà, forse, bello per loro, venendo a casa mia, che si trovino davanti un menù che è quello tipico della mia cultura, con tutto il suo significato positivo, di accoglienza, di dono, di apertura? Questa è la cosa che a me sembra venga a mancare ad una cultura cristiana che, anche nella letteratura e nell’arte, ha donato e continua a donare delle cose fantastiche, bellissime per la qualità della vita dell’uomo, nei confronti della quale si dice “no” è meglio censurarsi!

D. – Il Presepe può essere anche elemento di dialogo con le altre religioni?

R. – Basta riflettere sul significato della parola dialogo. La parola dialogo vuol dire uno scambio verbale tra due soggetti. Ma se i due soggetti per poter dialogare devono rinunciare ciascuno alla propria identità – e qui siamo addirittura al paradosso che ci rinunciamo solo noi – il dialogo sparisce. Non saremo più accoglienti e più capaci di dialogo, quanto meno saremo cristiani. Ma al contrario: più siamo cristiani, più siamo anche sanamente appassionati della verità che abbiamo incontrato nel Vangelo e nella persona di Gesù, tanto più saremo aperti al dialogo, all’accoglienza, al confronto ed anche all’umiltà di imparare dall’incontro con altre culture e con altre persone.
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