2006-12-14 16:12:41

Mons. Tomasi: fermate i massacri nel Darfur


(14 dicembre 2006 - RV) In tema di Darfur, “l’azione per porre fine ai massacri deve prevalere sugli accordi politici e sugli interessi commerciali”: è quanto ha affermato l’arcivescovo Silvano Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio ONU di Ginevra, nel suo intervento, in questi giorni, alla IV Sessione del Consiglio per i Diritti Umani dedicata alla drammatica situazione nella regione sudanese del Darfur. Mons. Tomasi ha ricordato le terrificanti violazioni dei diritti umani: uccisioni di bambini, abusi sessuali e stupri di donne e ragazze, sradicamenti forzati della popolazione, incendi di villaggi, attacchi ai campi di sfollati, assalti a civili innocenti. E ha sottolineato che “le vittime del Darfur non sono mere statistiche, ma sono persone reali”. Ma ascoltiamo mons. Tomasi nell’intervista di Fausta Speranza:

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R. – La priorità deve essere data alle vittime di questa tragedia, che sono moltissime. Le statistiche dicono che ci sono state più di 200 mila persone uccise e più di 2 milioni sono le persone sradicate dai loro villaggi e forzate a scappare in un altro territorio. Parliamo quindi di una tragedia immensa. Spesso si parla dell’aspetto politico, della necessità di trovare un equilibrio di interessi, di avere una risposta umanitaria adeguata, dobbiamo invece focalizzare l’attenzione sulle vittime.


D. – Mons. Tomasi, che cosa si può fare, che cosa può fare in particolare il Consiglio per i diritti umani dell’ONU?


R. – Il Consiglio ha preso una decisione importante - anche se forse poteva essere più forte - quando ha votato per consenso una risoluzione che impegna la comunità internazionale ad affrontare questa crisi, che riconosce come gravissima, a mandare una missione di alto livello per valutare le violazioni dei diritti umani - la situazione umanitaria sul posto - fare un rapporto formale allo stesso Consiglio tra un paio di mesi e continuare a monitorare la situazione, in modo che davanti all’opinione internazionale e soprattutto nel contesto degli organi ufficiali delle Nazioni Unite, che sono preposti alla pace e al rispetto dei diritti umani, questa immane tragedia possa continuamente essere visibile e quindi si possano forzare in qualche modo le parti coinvolte - milizie, governo, ribelli - a trovare una maniera di frenare la violenza.


D. – Intanto, c’è la tragedia che si consuma, ma ci sono anche rischi concreti che si espanda il conflitto nelle aree limitrofe?


R. – Il fatto che centinaia di migliaia di persone del Darfur siano state costrette a passare le frontiere per il Ciad e per la Repubblica Centrafricana, creando decine di campi profughi, diventa l’occasione per dei gruppi ribelli locali per sfruttare la situazione di emergenza per interessi locali, per interessi propri. La violenza si allarga a macchia d’olio. Parte dell’urgenza della situazione è appunto quella di bloccare questo processo di destabilizzazione che rischia di imporsi nella regione. Come qualcuno ha osservato c’è il rischio di avere un altro Congo, dove interessi tribali, lotte etniche, interessi economici, interessi commerciali, possibilità di sfruttamento di petrolio nella regione possono creare una rete di conflitti che non si può controllare, che non si può immediatamente maneggiare in maniera ragionevole. Bisogna, quindi, andare al di là degli interessi di tutti e frenare la violenza, far rispettare i diritti umani e introdurre come metodo di soluzione di questi problemi presenti a livello locale, in rapporto con il governo centrale, tramite un dialogo ragionevole, trasparente, sostenuto e aiutato anche dalla solidarietà, che sia in denaro, in mezzi tecnici, in assistenza di competenze, della comunità internazionale.
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