(14 dicembre 2006 - RV) In tema di Darfur, “l’azione per porre fine ai massacri deve
prevalere sugli accordi politici e sugli interessi commerciali”: è quanto ha affermato
l’arcivescovo Silvano Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio
ONU di Ginevra, nel suo intervento, in questi giorni, alla IV Sessione del Consiglio
per i Diritti Umani dedicata alla drammatica situazione nella regione sudanese del
Darfur. Mons. Tomasi ha ricordato le terrificanti violazioni dei diritti umani: uccisioni
di bambini, abusi sessuali e stupri di donne e ragazze, sradicamenti forzati della
popolazione, incendi di villaggi, attacchi ai campi di sfollati, assalti a civili
innocenti. E ha sottolineato che “le vittime del Darfur non sono mere statistiche,
ma sono persone reali”. Ma ascoltiamo mons. Tomasi nell’intervista di Fausta Speranza:
********** R. – La priorità deve essere data alle vittime di questa tragedia,
che sono moltissime. Le statistiche dicono che ci sono state più di 200 mila persone
uccise e più di 2 milioni sono le persone sradicate dai loro villaggi e forzate a
scappare in un altro territorio. Parliamo quindi di una tragedia immensa. Spesso si
parla dell’aspetto politico, della necessità di trovare un equilibrio di interessi,
di avere una risposta umanitaria adeguata, dobbiamo invece focalizzare l’attenzione
sulle vittime.
D. – Mons. Tomasi, che cosa si può fare, che cosa può fare
in particolare il Consiglio per i diritti umani dell’ONU?
R. – Il Consiglio
ha preso una decisione importante - anche se forse poteva essere più forte - quando
ha votato per consenso una risoluzione che impegna la comunità internazionale ad affrontare
questa crisi, che riconosce come gravissima, a mandare una missione di alto livello
per valutare le violazioni dei diritti umani - la situazione umanitaria sul posto
- fare un rapporto formale allo stesso Consiglio tra un paio di mesi e continuare
a monitorare la situazione, in modo che davanti all’opinione internazionale e soprattutto
nel contesto degli organi ufficiali delle Nazioni Unite, che sono preposti alla pace
e al rispetto dei diritti umani, questa immane tragedia possa continuamente essere
visibile e quindi si possano forzare in qualche modo le parti coinvolte - milizie,
governo, ribelli - a trovare una maniera di frenare la violenza.
D. – Intanto,
c’è la tragedia che si consuma, ma ci sono anche rischi concreti che si espanda il
conflitto nelle aree limitrofe?
R. – Il fatto che centinaia di migliaia
di persone del Darfur siano state costrette a passare le frontiere per il Ciad e per
la Repubblica Centrafricana, creando decine di campi profughi, diventa l’occasione
per dei gruppi ribelli locali per sfruttare la situazione di emergenza per interessi
locali, per interessi propri. La violenza si allarga a macchia d’olio. Parte dell’urgenza
della situazione è appunto quella di bloccare questo processo di destabilizzazione
che rischia di imporsi nella regione. Come qualcuno ha osservato c’è il rischio di
avere un altro Congo, dove interessi tribali, lotte etniche, interessi economici,
interessi commerciali, possibilità di sfruttamento di petrolio nella regione possono
creare una rete di conflitti che non si può controllare, che non si può immediatamente
maneggiare in maniera ragionevole. Bisogna, quindi, andare al di là degli interessi
di tutti e frenare la violenza, far rispettare i diritti umani e introdurre come metodo
di soluzione di questi problemi presenti a livello locale, in rapporto con il governo
centrale, tramite un dialogo ragionevole, trasparente, sostenuto e aiutato anche dalla
solidarietà, che sia in denaro, in mezzi tecnici, in assistenza di competenze, della
comunità internazionale. **********