2006-12-07 15:43:16

Gli USA verso il disimpegno dall'Iraq ?


(07 dicembre 2006 - RV) Un graduale cambiamento di ruolo per le truppe statunitensi in Iraq. Questo, in sintesi, il rapporto della commissione Baker-Hamilton, consegnato ieri al presidente americano, Bush, che ne discuterà oggi a Washington col premier britannico Blair, in visita lampo negli Stati Uniti. Mentre il Senato statunitense ha confermato Robert Gates come nuovo capo del Pentagono, lo studio presentato alla Casa Bianca prevede che la presenza in Iraq passi da strettamente militare ad operazione di appoggio, per poi arrivare a un ritiro dal Paese del Golfo. Il rapporto non indica un calendario preciso per il disimpegno, ma fissa significativi cambiamenti per il primo trimestre del 2008. Per un giudizio sul rapporto Baker-Hamilton, Giancarlo La Vella ha intervistato Camille Eid, esperto di Medio Oriente del quotidiano “Avvenire”:


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R. – Effetti benefici, se l’amministrazione americana dovesse accettare queste proposte. Io l’ho trovato un rapporto molto coraggioso, che definisce la situazione in Iraq grave, formula una serie di raccomandazioni e descrive soprattutto una realtà, che constatiamo ormai da tre anni.


D. – Le forze di sicurezza irachene non hanno ancora sufficiente potere per controllare tutta la situazione. C’è il rischio che prendano il sopravvento forze fondamentaliste?


R. – Il rapporto dice che il governo iracheno dovrebbe velocizzare la presa di controllo sulla sicurezza del Paese e questo avviene incrementando la qualità e il numero delle brigate dell’esercito. Quindi, non dice “ritiriamo le truppe e lasciamo gli iracheni a scannarsi tra di loro”. Parla soprattutto della necessità di incoraggiare il governo iracheno a compiere passi decisivi in direzione della riconciliazione nazionale. Quindi, questo è un passo importante. Il rafforzamento della sicurezza si va accompagnando alla promozione della riconciliazione nazionale in seno alla società irachena, altrimenti vuol dire condannare l’Iraq al caos completo.


D. – Quali le conseguenze per la Chiesa locale?


R. – La Chiesa ha pagato e continua a pagare un prezzo altissimo. Tre giorni fa è stato rapito il sesto sacerdote. La Chiesa ha perso in questi tre anni, come minimo, 100 mila fedeli, che sono fuggiti in Siria, in Giordania o in altri Paesi ancora. Ogni settimana ci sono 50 certificati di battesimo, necessari per confermare l’appartenenza religiosa all’estero, che vengono richieste ai parroci. Questo dimostra che c’è un esodo di massa che ovviamente colpisce proprio nelle sue forze vive la comunità cristiana. Alla lunga questo, ovviamente, porterà ad un impoverimento della presenza cristiana in Iraq.


D. – Quindi, l’applicazione del Rapporto Baker non potrà che portare effetti positivi di stabilizzazione anche per la Chiesa…


R. – Esattamente, s’inserisce nel contesto di un disimpegno, ma preceduto comunque da un processo di coinvolgimento di tutte le componenti della società irachena e soprattutto di una riconciliazione nazionale. Quindi, una riconciliazione tra sunniti e sciiti oppure tra curdi e arabi non può non essere benefica anche riguardo al futuro della comunità cristiana stessa.
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