A Roma la Convention contro le mafie: intervista con don Ciotti e mons. Bregantini
(17 maggio 2006 - RV) “Una nuova stagione di impegno nella lotta alle mafie”: è l’obiettivo
di “Contromafie”, gli Stati Generali della guerra alle cosche, che da oggi a domenica
a Roma vedrà confrontarsi società civile, politici, forze dell’ordine, magistrati
e familiari delle vittime dei clan. L’appuntamento é promosso da “Libera”, l’associazione
di don Luigi Ciotti, che nel presentare l’evento ha sottolineato che “siamo davanti
a una vera e propria guerra” ricordando come negli ultimi dieci anni i morti di mafia
in Italia siano stati 2.500: tra questi 155 vittime innocenti, dei quali 37 adolescenti
e bambini. Su questo incontro Fabio Colagrande ha sentito il vescovo di Locri-Gerace,
mons. Giancarlo Bregantini e lo stesso don Luigi Ciotti. Al presidente di “Libera”
ha chiesto cosa vuole essere questo appuntamento: ********** R. – Vuole essere
proprio un momento di lavoro: l’abbiamo organizzato con la pochezza dei mezzi, con
la coscienza dei nostri limiti, non riuscendo a raggiungere tutti. Ma partecipano
2500 persone giunte da ogni parte di Italia, anche con molti sacrifici, e hanno voglia
di confrontarsi. Devono essere giornate di lavoro, di impegno, sedici gruppi di grande
approfondimento; non vogliono essere passerelle, cerchiamo di dare la voce a tutti.
Abbiamo chiesto agli uomini delle istituzioni, agli uomini di governo di andare a
lavorare nei gruppi e abbiamo chiesto a tutti di mettersi sullo stesso livello di
ascolto, di elaborazione, di progettualità. Non era mai successo. Chi viene a questo
appuntamento sono realtà che le si sporcano le mani tutti i giorni, questo bisogna
dirlo. Sono persone che ogni giorno generosamente si impegnano e che hanno voglia
di dare continuità a tutto questo. Non è un incontro punto e basta, anzi siamo molto
preoccupati dei troppi convegni che si fanno, dei troppi dibattiti, abbiamo bisogno
di dare una coerenza tra il dire e il fare. Siamo consapevoli che la prima mafia da
combattere è quella della parole, se ne fanno troppe in questo Paese. C’è bisogno
di concretezza: piccole cose, ma reali e concrete D. – Lei ha detto, e il nome
dell’associazione “Libera”, lo ricorda che in questo momento non siamo liberi qui
in Italia, perché? R. – Dobbiamo liberare la libertà: la libertà va liberata, perchè
le mafie non ci rendono liberi, l’usura non rende liberi, il pizzo non rende liberi,
la droga non rende liberi, la tratta degli esseri umani non rende liberi, rende schiave
le persone il lavoro nero, il caporalato, la povertà non rende liberi. Dobbiamo liberare
la libertà. D. – Mons. Bregantini, la reazione alla mafia da parte della Chiesa
quale deve essere? R. – Deve essere quella di fra Cristoforo, lo dico sempre a
tutti. Con i suoi problemi con le sue angosce, quest’uomo non è stato don Abbondio,
che pure aveva una sua esemplarità ma non aveva il coraggio, non aveva la speranza.
Fra Cristoforo ha trasformato i suoi grandi problemi interiori ed esteriori in coraggio
e speranza, ed è stato quello che al momento giusto ha sfidato don Rodrigo e gli ha
detto ‘verrà un giorno’ … e il romanzo, che è l’immagine e lo specchio della nostra
terra, si chiude dicendo: ‘il mafioso è sconfitto, la vittoria del testimone di Cristo
è vincitrice fino in fondo’. L’immagine di fra Cristoforo per me rappresenta una Chiesa
che sa reagire, per cui arriviamo a dire una cosa, anche se difficile: le insidie
della mafia ci costringono, provvidenzialmente a livello evangelico, ad essere più
autentici testimoni di Cristo risorto, come abbiamo detto a Verona, fragili ma coraggiosi
per la sua presenza e la sua forza. **********