2006-11-11 17:11:43

"Essere povero in tutti i sensi conviene ad un Papa": così Benedetto XVI nell'ultimo discorso ai vescovi svizzeri


(11 novembre 2006 - RV) Dobbiamo impegnarci a far apparire il Cristianesimo non “come semplice moralismo, ma come dono nel quale ci è dato l’amore che ci sostiene e ci fornisce la forza necessaria per saper perdere la vita”. E’ la viva esortazione di Benedetto XVI ai presuli svizzeri, contenuta nel discorso – a braccio – che il Papa ha rivolto loro a conclusione della visita ad Limina, nel pomeriggio del 9 novembre e pubblicato oggi dalla Sala stampa vaticana. Nel suo discorso, dunque, il Pontefice ha offerto un’articolata riflessione sulle sfide che i cristiani devono affrontare in una società come quella contemporanea la quale, piuttosto che essere priva di una morale, rivendica un’altra morale. Il servizio di Alessandro Gisotti:


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Benedetto XVI si è rivolto con affetto paterno ai presuli svizzeri. Il suo è un intervento a braccio, non scritto. Il Santo Padre si scusa dunque con parole di grande umiltà. “In questo momento – ha detto – mi presento con questa povertà; ma forse essere povero in tutti i sensi conviene anche ad un Papa in questo momento della storia della Chiesa”. ha innanzitutto affrontato “il tema Dio”. La nostra fede, ha avvertito, non dovrebbe essere “resa vana dalle troppe discussioni su molteplici particolari meno importanti, ma aver invece sempre sotto gli occhi in primo luogo la sua grandezza”. Il Papa è tornato con la memoria agli anni ottanta e novanta. All’epoca, ha ricordato, quando si recava in Germania, sapeva sempre già in anticipo le domande delle interviste. “Si trattava – ha spiegato – dell'ordinazione delle donne, della contraccezione, dell'aborto e di altri problemi come questi che ritornano in continuazione”. “Se noi ci lasciamo tirare dentro queste discussioni – ha constatato – allora si identifica la Chiesa con alcuni comandamenti o divieti” e “facciamo la figura di moralisti con alcune convinzioni un po' fuori moda, e la vera grandezza della fede non appare minimamente”.


Ha così rivolto il pensiero all’importanza del “rapporto personale con Dio”. Il Papa ha ricordato che Sant’Agostino ha più volte mostrato “i due lati del concetto cristiano di Dio”: Logos e Amore, “fino al punto di farsi totalmente piccolo da assumere un corpo umano e alla fine di darsi come pane nelle nostre mani”. Per questo, ha proseguito, “la nostra fede è una cosa che ha da fare con la ragione, può essere trasmessa mediante la ragione e non deve nascondersi davanti alla ragione, neanche a quella del nostro tempo”. Tuttavia, è stato il suo richiamo, “questa ragione eterna ed incommensurabile”, “non è soltanto una matematica dell'universo e ancora meno qualche prima causa che, dopo aver provocato il Big Bang, si è ritirata”. Questa ragione, ha affermato, ha invece un cuore, “tanto da poter rinunciare alla propria immensità e farsi carne”. E qui il Papa ha messo l’accento sull’essenza del messaggio cristiano, affermando che “Dio non è un'ipotesi filosofica, non è qualcosa che forse esiste, ma noi Lo conosciamo ed Egli conosce noi. E possiamo conoscerLo sempre meglio, se rimaniamo in colloquio con Lui”. Ecco allora l’importanza per la pastorale di “insegnare a pregare ed impararlo personalmente sempre di più”.


Di fronte a quanti cercano la meditazione altrove, perché non trovano la dimensione spirituale nel Cristianesimo, il Papa ha esortato i presuli a “mostrare loro di nuovo che questa dimensione non solo esiste, ma che è la fonte di tutto”. Proprio tale “intimo essere con Dio e quindi l'esperienza della presenza di Dio”, ha sottolineato, “è ciò che sempre di nuovo ci fa, per così dire, sperimentare la grandezza del cristianesimo e ci aiuta poi anche ad attraversare tutte le piccolezze, tra le quali, certamente, esso deve poi essere vissuto e – giorno per giorno, soffrendo ed amando, nella gioia e nella tristezza – essere realizzato”. In questa prospettiva, ha aggiunto, si vede il significato della Liturgia come scuola di preghiera. Una preghiera che può essere “semplice ed umile” ma anche “festa della fede”. Una fede vissuta come festa, che il Papa ha detto di aver particolarmente sperimentato nelle sue visite pastorali in Germania, Polonia e Spagna. Ha così voluto smentire un certo pregiudizio nei confronti del Cristianesimo. “Nietzsche – ha ricordato – addirittura ha detto: Solo se Dio non esiste possiamo far festa”. “Un'assurdità”, è la risposta del Santo Padre che ha affermato: “Solo se Dio c'è ed Egli ci tocca, può esserci una vera festa. E sappiamo come queste feste della fede spalancano i cuori della gente e producono impressioni che aiutano per il futuro”.


E’ stata, dunque, la volta del grande tema della morale, a cui il Papa ha dedicato una parte cospicua del suo intervento. La Chiesa, ha rilevato, viene percepita come “grande portatrice di esperienza spirituale”, quello che “risulta invece molto difficile alla gente è la morale che la Chiesa proclama”. Il Papa ha confidato ai vescovi elvetici che questo tema è oggetto delle sue riflessioni già da molto tempo. “Nella nostra epoca – ha detto – la morale si è come divisa in due parti”. La società moderna, ha aggiunto, “non è semplicemente senza morale, ma ha, per così dire, scoperto e rivendica un'altra parte della morale che, nell'annuncio della Chiesa negli ultimi decenni e anche di più, forse non è stata abbastanza proposta”. Il Pontefice ha enumerato alcuni grandi temi: pace, non violenza, giustizia per tutti, sollecitudine per i poveri e rispetto della creazione. “Questo – ha proseguito - è diventato un insieme etico che, proprio come forza politica, ha un grande potere e costituisce per molti la sostituzione o la successione della religione”. Quest’ultima viene infatti “vista come metafisica e cosa dell'al di là, forse anche come cosa individualistica” e al suo posto “entrano i grandi temi morali come l'essenziale che poi conferisce all'uomo dignità e lo impegna”. Sono grandi temi morali, che affascinano i giovani e che “appartengono del resto anche alla tradizione della Chiesa”.


L’altra parte della morale, ha continuato, riguarda “l’impegno per la vita, dalla concezione fino alla morte”. Spesso, ha constatato, interventi come aborto ed eutanasia vengono giustificati “con gli scopi apparentemente grandi di poter con ciò essere utili alle generazioni future”. Appare così “addirittura come cosa morale – ha affermato con amarezza – anche il prendere nelle proprie mani la vita stessa dell’uomo e manipolarla”. Tuttavia, ha aggiunto, “esiste anche la consapevolezza che la vita umana è un dono che richiede il nostro rispetto e il nostro amore dal primo fino all'ultimo momento, anche per i sofferenti, gli handicappati e i deboli”. Benedetto XVI ha infine rivolto la sua attenzione alla “morale del matrimonio e della famiglia”.


Ha citato il caso di alcuni Paesi “dove è stata fatta una modifica legislativa, secondo la quale il matrimonio adesso non è più definito come legame tra uomo e donna, ma come un legame tra persone”. Con ciò, ha avvertito, viene “distrutta l'idea di fondo e la società, a partire dalle sue radici, diventa una cosa totalmente diversa”. In tale contesto, “la consapevolezza che sessualità, eros e matrimonio come unione tra uomo e donna vanno insieme” “s'attenua sempre di più”. Secondo questa concepimento, “ogni genere di legame sembra assolutamente normale – il tutto presentato come una specie di moralità della non-discriminazione e un modo di libertà dovuta all'uomo”. E’ così che “l'indissolubilità del matrimonio è diventata un'idea quasi utopica che, proprio anche in molte persone della vita pubblica, appare smentita”. Riflettendo poi sulla “diminuzione impressionante del tasso di natalità”, il Papa ha riconosciuto che “esistono molteplici spiegazioni, ma sicuramente ha in ciò un ruolo decisivo anche il fatto che si vuole avere la vita per se stessi, che ci si fida poco del futuro e che, appunto, si ritiene quasi non più realizzabile la famiglia come comunità durevole, nella quale può poi crescere la generazione futura”.


L’annuncio cristiano, ha sottolineato, “si scontra con una consapevolezza contraria della società, per cosi dire, con una specie di antimoralità che si appoggia su di una concezione della libertà vista come facoltà di scegliere autonomamente senza orientamenti predefiniti”. Un’antimoralità che si presenta “come non-discriminazione, quindi come approvazione di ogni tipo di possibilità, ponendosi così in modo autonomo come eticamente corretto”. Ma, è l’incoraggiamento del Papa, “l'altra consapevolezza non è scomparsa. Essa esiste”. Ha così chiamato tutti i fedeli ad impegnarsi “per ricollegare queste due parti della moralità e rendere evidente che esse vanno inseparabilmente unite tra loro”. “Solo se si rispetta la vita umana dalla concezione fino alla morte – ha ribadito - è possibile e credibile anche l'etica della pace; solo allora la non violenza può esprimersi in ogni direzione, solo allora accogliamo veramente la creazione e solo allora si può giungere alla vera giustizia”. Il Papa ha, così, indicato il “grande compito” che i cristiani hanno davanti a loro: “Da una parte, non far apparire il cristianesimo come semplice moralismo, ma come dono nel quale ci è dato l'amore che ci sostiene e ci fornisce poi la forza necessaria per saper perdere la propria vita”. Dall'altra, “in questo contesto di amore donato, progredire anche verso le concretizzazioni, per le quali il fondamento ci è sempre offerto dal Decalogo che, con Cristo e con la Chiesa, dobbiamo leggere in questo tempo in modo progressivo e nuovo”.
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