Il Papa ai vescovi svizzeri: rinnovare la catechesi a fronte di un'ignoranza religiosa
che ha raggiunto "livelli spaventosi"
(9 novembre 2006 - RV) Riscoperta della “fede in Dio” attraverso una catechesi che
impari nuovamente “a trasmettere i contenuti centrali del Credo” in un’epoca in cui
l’gnoranza religiosa ha raggiunto livelli spaventosi. Ai vescovi della Svizzera che
oggi poemeriggio concludono la loro visita ad Limina in Vaticano, Benedetto XVI ha
ribadito l’urgenza pastorale di riconferire il giusto ruolo, nella forma e nella sostanza,
ai Sacramenti, alla liturgia, al momento dell’omelia della Messa, alla formazione
della comunità ecclesiale. I particolari nel servizio di Alessandro De Carolis.
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frontiera dell’evangelizzazione in questo inizio di secolo è la stessa per cui si
spesero gli Apostoli della prima ora della Chiesa: la diffusione della fede. Ciò che
sembrerebbe un paradosso dopo duemila anni di storia del Vangelo è stato posto da
Benedetto XVI tra i punti centrali della riflessione rivolta ai vescovi svizzeri in
visita ad Limina. Nel discorso pronunciato in tedesco e a braccio martedì scorso –
la cui traduzione è stata pubblicata oggi – il Papa ha affermato con chiarezza che,
“forse due generazioni fa”, la fede “poteva essere presupposta in modo abbastanza
naturale: si cresceva in essa, che era in qualche modo una dimensione della vita evidente
e che non aveva bisogno di essere ricercata in modo naturale”. La secolarizzazione,
ha osservato Benedetto XVI, ha ribaltato i piani: oggi “appare il contrario, che cioè
in fondo non è possibile credere, che di fatto Dio è assente”.
I cristiani
non sono immuni dalle derive di questo contesto culturale. Si privilegia il “fare”,
l’impegno, come se – ha detto il Papa – la fede fosse giustificata dalle opere. La
fede invece, ha ripetuto il Pontefice, “è soprattutto fede in Dio”, fede in Cristo,
il cristiano ha fede perché guarda a lui, non alle cose. Questa “centralità - ha
proseguito Benedetto XVI – deve, secondo me, apparire in modo completamente nuovo
in tutto il nostro pensare e operare”. Perché la fede è “l’anima di tutto”, è quella
che “anima le attività” e le preserva dal “decadere in attivismo”. Inoltre, ha spiegato
con incisività il Papa, la fede non è qualcosa che “possiamo inventare noi stessi”,
componendola “di pezzi ‘sostenibili’”. La fede è tale perché “la crediamo insieme
con la Chiesa”. Fede è ciò che rende “presente” il “passato delle parole della Scrittura”,
che “lascia entrare nel tempo” l’eternità di Dio. E’ questa la “forma di fede” che
“dovremmo cercare di mettere veramente al centro delle nostre attività”, ha esortato
il Papa, che ha toccato un punto a lui caro: il “bisogno” di avere “buone Facoltà
teologiche” in grado di “formare ad una fede intelligente, così che fede diventi intelligenza
ed intelligenza diventi fede”. Benedetto XVI si è compiaciuto dei “grandi progressi”
compiuti dall’esegesi. Tuttavia, ha sottolineato, riferendosi a quanto detto poco
prima, la Sacra Scrittura, che pure “deve essere letta secondo i metodi storici, va
letta anche come unità e deve essere letta nella comunità vivente della Chiesa”, nella
quale può avvenire l’incontro efficace con la Scrittura.
Accanto al buon livello
accademico, “dobbiamo, come sempre, impegnarci molto” anche “per un rinnovamento della
catechesi, nella quale – ha asserito il Pontefice - sia fondamentale il coraggio di
testimoniare la propria fede e di trovare i modi affinché essa sia compresa ed accolta”.
“L'ignoranza religiosa – ha riconosciuto schiettamente Benedetto XVI - ha raggiunto
oggi un livello spaventoso” e richiede quindi di “trovare vie per comunicare, anche
se in modo semplice, le conoscenze, affinché la cultura della fede sia presente”.
Importante, tra gli altri, il passaggio dedicato al Sacramento della Penitenza. Il
suo dono, ha detto il Papa “consiste quindi non soltanto nel fatto che riceviamo il
perdono, ma anche nel fatto che ci rendiamo conto, innanzitutto, del nostro bisogno
di perdono; già con ciò veniamo purificati, ci trasformiamo interiormente e possiamo
poi comprendere anche meglio gli altri e perdonarli”.
Un punto dell’ampia
riflessione di Benedetto XVI ha riguardato la questione dell’omelia. Per illustrarlo,
il Papa si è calato nella quotidianità di una parrocchia nella quale, ha immaginato,
può esservi un parroco stanco o anziano e magari, di contro, un assistente pastorale
molto versato “nell’interpretare la Parola di Dio in modo convincente”. In questo
caso, ha proseguito, “vien spontaneo dire: perché non dovrebbe parlare l'assistente
per la pastorale; lui riesce meglio, e così la gente ne trae maggior profitto”. Questo
modo di pensare, però, è “puramente funzionale”, ha obiettato Benedetto XVI. “Bisogna
invece tener conto del fatto che l'omelia non è un'interruzione della Liturgia per
una parte discorsiva, ma che essa appartiene all'evento sacramentale, portando la
Parola di Dio nel presente di questa comunità”. Ciò significa “che l'omelia stessa
fa parte del mistero” e, dunque, “ritengo anche importante – ha ripetuto il Papa -
che il sacerdote non sia ridotto al Sacramento e alla giurisdizione (…) ma che si
conservi l'integrità del suo incarico”. **********