2006-11-05 15:54:36

Saddam Hussein, condannato a morte per il massacro di 148 sciiti nel 1982. Domani il processo di appello.
Riflessioni di Fulco Lanchester, padre Justo Lacunza, padre Michele Simone


(5 novembre 2006 -RV) “Allah è grande, lunga vita all’Iraq e al popolo iracheno'': con queste parole, l’ex rais iracheno, Saddam Hussein, ha ascoltato stamani a Baghdad la lettura del verdetto del Tribunale speciale dell’Iraq, che lo ha condannato a morte per impiccagione, insieme ad altri due coimputati. L’accusa è di crimini contro l'umanità per il massacro di 148 sciiti nel villaggio di Dujail nel 1982. Già domani, il processo di appello. Il servizio di Roberta Moretti:


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“Non accettate la volontà degli occupanti. Non sono io lo sconfitto”: visibilmente scosso, in piedi dietro le sbarre, vestito scuro e camicia bianca, Saddam Hussein ha provato a interrompere la lettura della sentenza declamando versetti del Corano e slogan a favore del disciolto partito Baath e contro il tribunale. Pena capitale anche al fratellastro ed ex capo dei servizi segreti, Barzan al Tikriti, e all’ex presidente del tribunale rivoluzionario del regime, Awad al Bander. Ergastolo, invece, all’ex vice presidente Taha Yassin Ramadan, e 15 anni di carcere a tre funzionari locali del partito Baath. Alla lettura delle sentenze, tra gli applausi dei giornalisti, alcuni colpi di mortaio nel quartiere Adamiya di Baghdad, a maggioranza sunnita, mentre in altre zone della capitale la popolazione ha festeggiato con raffiche di arma da fuoco. A Tikrit, intanto, città natale di Saddam, migliaia di persone in strada scandiscono slogan contro il tribunale e chiedono vendetta. Già da domani si avvierà la procedura d'appello, automatica in Iraq in caso di pena capitale. Soddisfazione di Stati Uniti e Gran Bretagna, rammarico di Hamas, mentre la Russia prevede un aumento delle divisioni nel Paese del Golfo. Da parte sua, l’Alto commissario ONU per i Diritti Umani, Louise Arbour, chiede il pieno rispetto del diritto al ricorso dell’ex rais ma anche una moratoria dell’esecuzione.
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Ma che cosa dire sul piano del diritto? Fausta Speranza lo ha chiesto al preside della Facoltà di Scienze politiche dell’Università la Sapienza di Roma, Fulco Lanchester, già professore di diritto comparato: RealAudioMP3

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R. – Partirei facendo la riflessione che è una condanna a morte in un processo di primo grado. Quindi, la questione è ancora aperta. Il secondo punto di vista, che orienta anche la mia riflessione, è che siamo a due giorni dalle elezioni americane e, quindi, l’esemplarità sembra una prosecuzione della guerra del presidente degli Stati Uniti nei confronti dell’Iraq per ragioni interne. Questo pone in evidenza che il mondo del diritto con questo processo ha dei rapporti più nella forma che nella sostanza. Esiste un tribunale penale internazionale per i crimini contro l’umanità, genocidio, crimini di guerra e così via, che non è stato utilizzato. Saddam Hussein è stato accusato di una serie di crimini e di una serie di reati molto ‘laterali’, che possono essere utilizzati per motivi interni in Iraq e per motivi interni negli Stati Uniti d’America. Se vuole il mio giudizio, qui il diritto c’entra poco, c’entra più la propaganda.


D. – Professore, il processo è stato lasciato alle autorità irachene, ma in base a quale carta del diritto? In base al diritto che vigeva al tempo di Saddam Hussein?


R. – In realtà, è stato lasciato alle autorità irachene. Sono stati cambiati i membri della Corte. Sono stati applicati meccanismi giuridici che esistevano ma sono stati anche innovati. Secondo me, la prospettiva da cui giudicare il processo a Saddam è quella del processo esemplare e il processo esemplare non è mai giusto.
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Saddam Hussein, ascoltando la sentenza, ha gridato “Dio è grande”. Lui che ha improntato il suo regime al laicismo. Nell’intervista di Fausta Speranza, la riflessione al proposito di padre Justo Lacunza, esperto di questioni orientali: RealAudioMP3

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R. - Saddam Hussein ha ripetuto questa frase islamica, che è impressa nella bandiera dell’Iraq. Nella bandiera irachena si vede scritta in lingua araba questa frase, che i musulmani pronunciano spesso durante i periodi della preghiera rituale, nei grandi momenti di sfiducia, di dolore, nei grandi momenti di felicità, nei grandi momenti della vita. Si può spiegare anche il laicismo, che in Iraq non è mai stato contro l’islam, anzi, negli ultimi anni della storia irachena possiamo dire che l’islam sia stato il coagulante delle varie frazioni, dei vari gruppi, delle varie comunità. Pure se sunniti e sciiti sono ai ferri corti possiamo dire che loro sono alla ricerca di quello che vuol dire essere musulmani in un contesto come quello dell’Iraq o quello dell’Iran o quello del Medio Oriente. Una terza riflessione è che questa frase di Saddam Hussein è come se volesse dire: “Voi non capite la storia. Voi avete sbagliato la storia. Io non ho niente da rimproverare in quello che avete fatto. Soltanto Dio, però, nella sua misericordia, potrà capire esattamente chi sono, che cosa ho fatto e quello che ho voluto fare”.


D. – Padre, secondo lei, nel mondo orientale in genere e in particolare in Iraq poteva esserci una sentenza diversa dalla condanna a morte?


R. – A livello dei principi, può darsi che non ci fosse spazio al di fuori di una condanna a morte. La nostra vita reale, però, quella individuale e familiare, quella collettiva e sociale, quella politica, religiosa e culturale, cammina e viaggia sul binario della realtà. Personalmente penso che condannare a morte colui che è stato presidente dell’Iraq per molti e molti anni e con il quale l’Occidente, Paesi di Europa, l’America, vari Paesi asiatici, mediorientali, africani, insomma tutto il mondo, hanno collaborato con questo signore, hanno cercato di costruire ponti, penso non sia la buona strada per arrivare a trovare delle soluzioni reali per quello che succede in Iraq. Innanzitutto, penso che una condanna a morte, in questo preciso momento, sia controproducente per quello che accadrà nei prossimi giorni.
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Ma una condanna a morte può davvero far fare i conti con la storia? Fausta Speranza ne ha parlato con padre Michele Simone, vicedirettore di Civiltà Cattolica: RealAudioMP3

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R. – Certamente no, la situazione dell’Iraq non si risolve con questa condanna a morte. Molti cattolici – e noi tra di loro – sono contrari per principio alla condanna a morte. E anche in una situazione come quella dell’Iraq, nella quale le condanne a morte, di fatto, ogni giorno, sono centinaia, un’altra aggiunta a tutte queste non serve a nulla. Certo, nella mentalità comune degli iracheni, la mancata condanna a morte, forse, per motivi di politica interna, sarebbe interpretata come un privilegio, perché le morti ormai sono all’ordine del giorno. Ma salvare una vita - il che non vuol dire accettare tutto ciò che ha fatto Saddam Hussein - è sempre un fatto positivo.


D. – In una situazione come quella irachena, come difendere il valore della vita? Lei lo ricordava: è una carneficina giornaliera…


R. – Bisogna far funzionare molto di più la politica per trovare una soluzione politica ad una guerra rovinosa e fatta chissà per quali motivi. Non è certamente con la violenza e con le morti che si risolvono questo tipo di situazioni.
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