2006-11-02 14:36:18

Il Papa ha pregato ieri sera nelle Grotte Vaticane sulla tomba dei suoi predecessori


(3 novembre 2006 - RV) Benedetto XVI si è recato ieri sera nelle Grotte Vaticane per pregare sulla tomba suoi predecessori nel giorno in cui la Chiesa ha commemorato tutti i defunti. Il Papa, domenica all’Angelus in Piazza San Pietro, aveva svolto un’intensa riflessione sulla morte e sulla vita eterna e sul desiderio, vivo in molti, “di ritrovare nell’aldilà i propri cari”. E durante l’udienza generale tenuta proprio il 2 novembre di un anno fa, il Papa esortava i credenti a guardare “all’enigma della morte con serenità e speranza”, lasciandosi illuminare dalla fede nella risurrezione. Ce ne parla Sergio Centofanti.

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Tutto passa, solo Dio resta – ha affermato il Papa – “la meta della nostra esistenza” è “l’incontro faccia a faccia con Dio”, eppure l’uomo sembra non avvedersene:

“L’uomo moderno l’aspetta ancora questa vita eterna, o ritiene che essa appartenga a una mitologia ormai superata? In questo nostro tempo, più che nel passato, si è talmente assorbiti dalle cose terrene, che talora riesce difficile pensare a Dio come protagonista della storia e della nostra stessa vita. L’esistenza umana però, per sua natura, è protesa a qualcosa di più grande, che la trascenda; è insopprimibile nell’essere umano l’anelito alla giustizia, alla verità, alla felicità piena”.

“L’enigma della morte” - spiegava il Papa un anno fa – s’intreccia dunque con “la questione di come vivere bene, come trovare la felicità” e nello stesso tempo con l’attesa “di un giudizio finale che ristabilisca la giustizia”:

“felice l'uomo che dona; felice l'uomo che non utilizza la vita per se stesso, ma dona; felice l'uomo che è misericordioso, buono e giusto; felice l'uomo che vive nell'amore di Dio e del prossimo. Così viviamo bene e così non dobbiamo aver paura della morte, perché siamo nella felicità che viene da Dio e che dura sempre”.

Al centro della fede cristiana c’è il mistero della morte e risurrezione di Cristo: la risurrezione di Gesù - ha detto il Papa al Convegno di Verona il 19 ottobre scorso - è stata “come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte”. Con questa certezza i cristiani guardano alla vita eterna non tralasciando i propri impegni nel mondo: “hanno i piedi sulla terra – ha detto il Papa all'Angelus - ma il cuore già nel Cielo, definitiva dimora degli amici di Dio”:

“Vita eterna per noi cristiani non indica però solo una vita che dura per sempre, bensì una nuova qualità di esistenza, pienamente immersa nell’amore di Dio, che libera dal male e dalla morte e ci pone in comunione senza fine con tutti i fratelli e le sorelle che partecipano dello stesso Amore”.
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La Commemorazione dei fedeli defunti è strettamente legata, nel calendario liturgico, alla Solennità di Tutti i Santi: sui motivi di questo legame Giovanni Peduto ha intervistato l’arcivescovo Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano: 00:02:54:50

R. – E’ chiaro che insieme ai Santi del Paradiso ricordiamo coloro che sono orientati verso il Paradiso, che sono nel Purgatorio e il Purgatorio non è un Inferno in seconda edizione, il Purgatorio è già una casa di gioia perché non è altro che l’anticamera del Paradiso. Io mi ricordo che una volta il mio vecchio parroco diceva che il Purgatorio è come un grande corso di esercizi spirituali prima di essere ammessi alla festa dei Santi. Le persone che sono in attesa del Paradiso, tutti i defunti che ricordiamo il 2 novembre, sono persone che vivono in comunione con noi. Noi possiamo pregare per loro e loro possono pregare per noi ed è bello ricordare anche questa seconda parte della comunione dei Santi, cioè tutte le anime che ancora non sono nella festa piena del Paradiso, ma che sono già nell’anticamera, sono già nell’attesa, e quindi sono già con il cuore orientato a Dio. Sentire la comunione con loro, pregare per loro e sapere che anche loro possono intercedere per noi, anche questo è un motivo che rompe la paura della solitudine.


D. – Eccellenza, noi oggi viviamo in una società che cerca in tutti i modi di esorcizzare la morte: un suo commento su questo aspetto della nostra società?


    - Si ha paura della morte, quando non si hanno più risposte davanti al mistero della morte. Certo se si pensa che la vita sia un salto nel buio, allora la morte fa paura, se non si ha nessuna luce sul mistero dell’aldilà, allora l’aldilà fa paura. Ma quando si sa che la morte è soltanto una soglia, che la morte non è la fine, la morte è l’inizio, come la porta è l’ingresso di una casa, la soglia è l’ingresso di una casa. Quando, illuminati dalla fede, si ha questa certezza, la morte si può chiamare tranquillamente ‘sorella morte’, come diceva San Francesco. La nostra società purtroppo si è completamente ripiegata sull’oggi, sull’aldiquà, ma l’aldiquà non può essere il tutto della vita. Aveva ragione Madre Teresa di Calcutta, quando diceva: “il più bello deve ancora venire, il più bello deve ancora compiersi”. Il cristiano che conosce tutto questo guarda alla morte con estrema serenità. Chi pensa come uno scrittore contemporaneo, che tra l’altro va per la maggiore, che ha detto: “Io penso che il ruolo della mia specie non sia superiore a quello delle api o delle formiche o dei passerotti”, chi pensa questo, per forza ha paura della morte. Ma noi sappiamo che invece la vita di un uomo è una vita sublime, è una vita che porta in sé un germe di eternità e noi abbiamo il tempo in questa vita di decidere a quale eternità vogliamo indirizzarci: l’eternità dell’abbraccio con Dio o l’eternità del rifiuto di Dio. L’eternità dell’abbraccio con Dio è il Paradiso, l’eternità del rifiuto di Dio è l’Inferno, perché senza Dio l’uomo è irrealizzato, senza Dio l’uomo è svuotato completamente e quindi è infelice.

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