Mons. Bruno Forte sul discorso del Papa a Verona: Benedetto XVI invita i cattolici
a mostrare i "sì" della fede
(24 ottobre 2006 - RV) E’ un discorso che continua a far riflettere: è l’intervento
di Benedetto XVI il 19 ottobre scorso al Convegno della Chiesa italiana a Verona.
Il Papa ha ribadito che “la risurrezione di Cristo è il centro della predicazione
e della testimonianza cristiana” e ha invitato i cattolici a dare risposte positive
e convincenti alle attese e agli interrogativi della gente unendo intelligenza e amore.
Su questo discorso abbiamo sentito il commento dell’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno
Forte: Sergio Centofanti gli ha chiesto quale parola del Papa l’ha più ha colpito:
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– Certamente, il grande “sì” di Dio pronunciato in Gesù Cristo sull’uomo e sul mondo.
Questa visione positiva del cristianesimo, come Buona Novella e come riconoscimento
fondato nell’amore di Dio per l’uomo del valore intrinseco della dignità profonda
di ogni essere umano e di tutto ciò che è umano, questo mi sembra il grande messaggio
che Papa Benedetto ha voluto riconoscere come scaturente dalla risurrezione di Gesù
Cristo, speranza del mondo. Da questo messaggio consegue anche un atteggiamento ideologico
positivo della Chiesa verso la società in cui è posta, un atteggiamento che guarda
a tutto ciò che di positivo c’è nel reale e che è stato rivelato pienamente dall’incarnazione
del Logos, c’è una struttura intelligente del mondo che il Logos incarnato ha manifestato
e che rispecchia il disegno del Creatore. Sulla base di questo Logos, di questa struttura
intelligente, ogni essere umano che abbia il cuore e la mente sgombra da pregiudizi,
può trovare un punto d’incontro, d’intesa, nella ricerca di valori, della verità illuminante
su cui la vita e la storia dell’uomo si possa costruire, nella crescita e nella dignità
di tutti.
D. – La strada maestra per l’evangelizzazione – ha detto il Papa
– resta una fede amica dell’intelligenza, che sappia amare in modo concreto soprattutto
i più poveri ed i sofferenti …
R. – Mi sembra che in queste osservazioni vi
siano due grandi messaggi. Il primo, è che è necessario allora che il cristianesimo
si manifesti in tutta la sua forza, di esercizio dell’intelligenza profonda della
realtà. Il cristianesimo non ha nulla a che vedere con l’irrazionalismo, con la rinuncia
alla dignità della ragione che invece ha sempre esaltato; ma nello stesso tempo, questa
ragione non va assolutizzata, essa va coniugata con il principio “amore”. E il Logos
incarnato non è solo rivelazione della struttura intelligente del disegno originario
del Creatore, ma è anche il Logos che si è incarnato per amore e che si è rivelato
come il Dio che è amore. Dunque, intelligenza e amore sono inseparabili e dalla coniugazione
di queste due componenti fondamentali della realtà della vocazione umana della rivelazione
divina, può scaturire anche il dialogo più fecondo, l’evangelizzazione più autentica,
il servizio all’uomo più pieno.
D. – C’è chi definisce la Chiesa ‘potente’;
invece, Benedetto XVI parla della “fragile barca della Chiesa”, sostenuta però da
Dio …
R. – Certamente, perché la potenza della Chiesa è quella che Paolo chiama
“la debolezza di Dio”, cioè il fatto che Dio abbia scelto per manifestarsi non la
via di una potenza umana, che schiacci l’uomo, ma la via della debolezza della Croce;
la via della forza dell’amore che sostiene questa debolezza, e in questo senso, le
parole del Papa richiamano quelle paoline: che la stoltezza di Dio è ben più sapiente
della sapienza del mondo. Cioè: il Dio che si rivela nella debolezza resta l’onnipotente
che ha scelto la via non della forza ma dell’amore, per comunicarsi agli uomini e
per dare a loro la sua salvezza.
D. – Cosa è emerso dai lavori di Verona?
R.
– Mi sembra che sia emerso chiaramente il volto di una Chiesa viva, di una Chiesa
giovane, di una Chiesa di popolo. Una Chiesa viva nella grande ricchezza di esperienze,
di fermenti, di impegno nella causa dell’annuncio del Vangelo e della catechesi, nella
presenza capillare della carità. Una Chiesa giovane: lo stadio di Verona era pieno
di giovani alla Messa con il Papa. Tra i delegati ce n’erano naturalmente di meno,
perché spesso i delegati sono scelti tra quelli che hanno già responsabilità adulte
nella Chiesa. E tuttavia, essi erano voce di una Chiesa che sa dare ai giovani ragioni
di vita e di speranza. Ed una Chiesa di popolo, una Chiesa – cioè – che è ben radicata
nel tessuto popolare della nostra gente, sta con essa, vive per essa, è amata dal
suo popolo e lo rappresenta nelle istanze più vere, nonostante tutti i processi di
secolarizzazione in atto. Ed è a partire da questo dato, che è possibile rilanciare
l’evangelizzazione nel nostro Paese, perché questa “Chiesa di popolo” prenda sempre
più coscienza della grande ricchezza che essa ha in sé, l’amore di Dio in Gesù Cristo,
e che essa ha da proporre al mondo, questo stesso amore coniugato come “sorgente ispirativa”
di prassi, di carità, di solidarietà, di impegni sociali. Molto importante è stato
anche il fatto che il Papa abbia sottolineato che nell’impegno politico la Chiesa
in quanto tale non ha né simpatie partitiche né seduzioni ideologiche, ma è fonte
di ispirazione alla luce del Vangelo. Sono i cristiani laici che, in prima persona,
devono impegnarsi in maniera adulta e responsabile, ispirati ai valori del Vangelo
nella pluralità delle opzioni politiche perché si costruisca una società più degna
dell’uomo, più simile a quella voluta da Dio nel suo disegno e rivelata nell’incarnazione
del Figlio. **********