2006-10-09 17:11:30

Un missionario comboniano al fianco dei bambini che vivono grazie all'immondizia in una baraccopoli del Cairo


(9 ottobre 2006 - RV) Si chiama Zabaleen City ed è una parte di un quartiere del Cairo dal quale i turisti si tengono alla larga. Chi osa avvicinarsi resta senza fiato per il forte odore che promana dai rifiuti. Questa zona periferica, infatti, altro non è che una immensa discarica a cielo aperto dove i più poveri dei poveri vivono rovistando nell’immondizia. Padre Luciano Verdoscia, comboniano, vive in Egitto dal 1994. Direttore di un Corso di studi arabo-islamici e dialogo interreligioso al Cairo iniziò allora a frequentare il quartiere la domenica, per portare la Parola di Dio. L’anno scorso la decisione di lasciare la carriera universitaria per dedicarsi completamente ai bimbi-spazzini. Al microfono di Antonella Villani ricorda le prime visite al quartiere discarica:
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R. – Ogni domenica per me era un’emozione, entrando nel quartiere mi dirigevo verso la casa delle suore di Madre Teresa e incontravo soprattutto questi bambini che lavoravano nell’immondizia oppure erano sui carretti che trasportavano l’immondizia. Bambini che andavano dall’età di 5 anni fino a 15. Pensavo ai miei nipoti prima di tutto, desideravo che loro vedessero questo come anche gli altri bambini dell’Occidente, che forse non sono coscienti dei privilegi che hanno. In più poi c’era la grande commozione di stare con i bambini disabili all’interno della casa delle suore. Per me era un motivo per lodare e ringraziare Dio per essere lì.
D. – Un quartiere molto vasto che vive praticamente nell’immondizia ma anche nel cimitero…
R. – Il quartiere si divide in sette zone. Queste zone comprendono questo quartiere dei raccoglitori di immondizia e poi anche la famosa città dei morti, cioè il grande cimitero abitato da numerose famiglie: poi ci sono altri quartieri e uno di questi, dove noi operiamo, è una baraccopoli.
D. – Lei si batte moltissimo per garantire la scuola a questi bambini…
R. – Occorre bloccare il passaggio da generazioni a generazioni dei fattori che condannano le persone all’estrema povertà. Occorre far capire ai bambini che è possibile vivere in un modo più dignitoso se migliorano il loro livello di istruzione.
D. – Attualmente seguite 400 bimbi in due centri, che assistenza date?
R. – Gli diamo la possibilità di studiare, di lavorare in un ambiente pulito, dignitoso. Le case di questi bambini sono poverissime vivono spesso in una stanza priva di servizi igienici. Noi diamo una merenda nutriente, a base di proteine, poi la visita medica e un’assistenza sociale.
D. – In un momento di alta conflittualità, anche interreligiosa, come è riuscito a promuovere il dialogo tra collaboratori cristiani e musulmani?
R. – Questa associazione ha una specificità: fare tutto assieme con gli altri. Siamo cristiani e musulmani impegnati insieme in un lavoro di assistenza e di intervento sociale all’interno dei quartieri più poveri. La bellezza anche per me, come sacerdote, è quella di poter collaborare con i fratelli musulmani.
D. – Lei è sempre stato bene accetto?
R. - Per ben due volte sono stato accusato di proselitismo religioso e hanno bloccato la nostra opera: però i primi che mi hanno sostenuto sono stati proprio i miei collaboratori musulmani che sono per me dei fratelli.
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