2006-10-04 08:46:14

L'appello del Papa al rafforzamento dei rapporti tra cristiani e musulmani in Iraq: il commento di Younis Tawfik


(4 ottobre 2006 - RV) Domenica scorsa, all’Angelus, la voce di Benedetto XVI si è levata per auspicare che la guerra in Iraq non indebolisca i rapporti tra cristiani e musulmani. Intanto le cifre della tragedia aumentano di giorno in giorno. Nove marines americani sono morti in azione nelle ultime ore, ma colpisce il numero agghiacciante di morti violente, soprattutto tra i civili: 1089 nel mese di settembre, più del mese di luglio che ebbe un bilancio di 1.065. In queste cifre fornite due giorni fa dal governo di Baghdad è racchiusa la tragedia di un Paese i cui abitanti vivono costantemente nella paura. Il giornalista e scrittore iracheno, Younis Tawfik, racconta come sia stato accolto l’appello del Papa in un Paese che cerca aiuto e vie d’uscita. L’intervista è di Alessandro De Carolis: RealAudioMP3
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R. – In questo silenzio assoluto nella sfera internazionale degli ultimi tempi, l’appello del Papa arriva come una cura per una ferita che sta diventando sempre più profonda e dolorosa. Credo che questo appello venga da una lunga tradizione della Chiesa, soprattutto nel solco tracciato da Papa Wojtyla, perché Papa Benedetto XVI ne riprende il discorso e fa un auspicio ancora più preciso, riferendosi a questo vincolo, del quale io stesso ne sono testimone, perché sono nato e cresciuto nell’antica Ninive, oggi Mosul, e posso testimoniare di aver sempre vissuto in grande armonia con la comunità cristiana della mia città. Questo vincolo di amicizia fra iracheni musulmani e cristiani deve essere un vincolo che costituisca sempre un muro contro la violenza e il terrorismo.
D. – E’, quindi, possibile dire che questi anni di guerra non hanno messo in crisi i rapporti tra cristiani e musulmani in Iraq, ma ne hanno rafforzato in qualche modo la solidarietà?
R. – Questo sì. Anche perché oggi tutti gli iracheni sono nel mirino del terrorismo e tutti insieme stanno cercando una via di uscita. Purtroppo c’è stata una emorragia di cristiani che in questi anni hanno abbandonato l’Iraq, ma ci sono anche musulmani che sono stati costretti ad abbandonare il loro Paese a causa del terrorismo.
D. – Ecco, parliamo a questo punto di chi è rimasto in Iraq. Baghdad e le altre città sono teatro di carneficine quotidiane, ci si alza al mattino senza sapere se la sera si riuscirà a tornare a casa vivi. Come si fa a coltivare la speranza in questa situazione?
R. – Quando si arriva a toccare il fondo, come sta purtroppo succedendo adesso in Iraq, nei rifugi, nei sotterranei, nella paura stessa si crea solidarietà tra gli “sconfitti”. Si vede già adesso, perché ci sono incontri e tentativi per cercare di uscire insieme da questo labirinto. La speranza che rimane è che in questi mesi il governo di al Maliki riesca a dare una svolta.
D. – Spesso, soprattutto sui media occidentali si parla dei morti dell’Iraq, ma poco invece dei vivi. Di che cosa hanno bisogno oggi quelli che vivono in Iraq?
R. – Quello che ha danneggiato maggiormente l’Iraq è stato il dopoguerra. Un popolo che si è ritrovato da un giorno all’altro senza più sicurezza, senza più sussidi, senza più stipendi. I vivi hanno bisogno anzitutto della sicurezza, hanno bisogno di vivere in condizioni migliori di quelle nelle quali vivevano prima: non c’è da stupirsi se la maggioranza degli iracheni oggi dice “rivogliamo Saddam”. Non è giusto che si arrivi a questo, dopo anni di dittatura e dopo che per anni hanno sempre sperato di riuscire a liberarsi da questa dittatura. Tornare a sperare in un ritorno di Saddam significava che abbiamo fallito veramente tutto. Io non dimenticherò mai l’abbraccio del Santo Padre all’ambasciatore iracheno, quando eravamo alla presenza del Papa, così come l’appello di domenica scorsa all’Angelus. E’ ora che la comunità internazionale ed i governi europei prendano delle iniziative, dando più speranza a livello materiale ma anche morale al popolo iracheno.
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Il dramma dell’Iraq, nelle parole preoccupate di Benedetto XVI, nel dopo Angelus, invocando ancora una volta la pace per il martoriato Paese. Prima della preghiera mariana, il richiamo del Papa a riscoprire in questo mese di ottobre la “bellezza” del Rosario e “l’impegno per le missioni”. Il servizio di Roberta Gisotti RealAudioMP3
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“La tragica realtà” di un Paese in guerra: Benedetto XVI è rimasto impressionato dal colloquio privato avuto ieri con il patriarca di Babilonia dei Caldei, Emmanuel III Delly, - di cui ha riferito oggi nel dopo Angelus – circa la tragica situazione “che deve affrontare quotidianamente la cara popolazione dell’Iraq – ha detto - dove cristiani e musulmani vivono insieme da 14 secoli come figli della stessa terra”.
“Auspico che non si allentino tra loro questi vincoli di fraternità, mentre, con i sentimenti della mia spirituale vicinanza, invito tutti ad unirsi a me nel chiedere a Dio Onnipotente il dono della pace e della concordia per quel martoriato Paese”.
Oggi primo ottobre, il Santo Padre ha richiamato due aspetti che caratterizzano questo mese: il Rosario e le Missioni. Cade sabato prossimo la Festa della beata Vergine del Rosario, occasione - ha ricordato - per “riscoprire la bellezza di questa preghiera, così semplice e tanto profonda”, tanto amata da Giovanni Paolo II, “grande apostolo del Rosario”, “preghiera contemplativa e cristocentrica”, “preghiera del cristiano che avanza nel pellegrinaggio della fede”
“Vorrei invitarvi, cari fratelli e sorelle, a recitare il Rosario durante questo mese in famiglia, nelle comunità e nelle parrocchie per le intenzioni del Papa, per la missione della Chiesa e per la pace nel mondo”.
In ottobre si celebra anche la Giornata missionaria mondiale, nella domenica 22. “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi’, disse Gesù risorto agli Apostoli nel cenacolo”. Quindi “la Chiesa è per sua natura missionaria” e “anima della Missione” è la carità - ha osservato il Papa - sollecitando ogni cristiano “ad essere missionario dell’Amore laddove la Provvidenza lo ha posto”.
“La missione della Chiesa è il prolungamento di quella di Cristo: recare a tutti l’amore di Dio, annunciandolo con le parole e con la concreta testimonianza della carità”.
Poi l’invocazione a Santa Teresa di Gesù Bambino, vergine carmelitana e dottore della Chiesa, di cui oggi ricorre la memoria, perché ci aiuti tutti “ad essere testimoni credibili del Vangelo della carità”.
Migliaia i pellegrini, stamane a Gastel Gandolfo tra cui un folto gruppo di dirigenti del Movimento dei focolari, venuti dai cinque continenti, festosamente raccolti per questo ultimo Angelus del Papa dalla sua residenza estiva, prima del rientro in Vaticano mercoledì prossimo. Prima di salutarli gioiosamente, Benedetto XVI ha menzionato diverse importanti ricorrenze. Anzitutto la Giornata mondiale per l’habitat, dedicata domani al tema “Città magneti di speranza”, che punta l’attenzione – ha sottolineato il Papa - “su uno dei più gravi problemi con cui l’umanità del XXI secolo è chiamata a confrontarsi”: “la gestione del rapido processo di urbanizzazione”. Da qui l’auspicio:
“Esprimo il mio incoraggiamento a quanti, a livello locale e internazionale, operano affinché alle persone che abitano nelle periferie degradate siano assicurate degne condizioni di vita, la soddisfazione dei bisogni primari e la possibilità di realizzare le proprie aspirazioni, in particolare nell’ambito familiare e in una convivenza sociale pacifica”.
Infine un indirizzo particolare ai partecipanti alla “Festa dello sportivo” organizzata dalla Conferenza episcopale del Lazio, tra cui sono 1500 giovani disabili di vari Paesi europei ed infine un incoraggiamento nell’odierna “Giornata nazionale per l’abbattimento della barriere architettoniche”, a quanti istituzioni e volontari si adoperano per questo obiettivo.
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