Nel silenzio internazionale si consuma il dramma del Darfur
(25 settembre 2006 - RV) Sempre più drammatica la situazione in Darfur, la regione
sudanese da anni percorsa da una sanguinosa guerra civile. Il quadro umanitario si
fa sempre più drammatico, mentre il governo di Khartoum continua a rifiutare l'invio
dei caschi blu deciso dal Consiglio di Sicurezza il mese scorso. Per discutere dell’emergenza,
oggi al Palazzo di Vetro di New York il segretario generale dell'ONU, Kofi Annan riceverà
il ministro degli Esteri sudanese, Lam Akol Ajawin. Ma cosa di fatto sta frenando
il dispiegamento di una forza delle Nazioni Unite in Darfur? Giada Aquilino lo ha
chiesto a Massimo Alberizzi, africanista del Corriere della Sera: ********** R.
- A frenare sono soprattutto gli interessi contrapposti di Stati Uniti, Cina e Russia.
Gli Stati Uniti hanno perso le concessioni petrolifere e quindi mirano comunque a
destabilizzare in qualche modo il Paese, a ricondurlo cioè in un’ottica più vicina
a quella di Washington. E’ la Cina invece ad essersi impadronita delle concessioni
petrolifere: Khartoum è piena di nuove costruzioni cinesi, negozi, ristoranti, una
comunità grandissima. Inoltre, la Russia sta vendendo armi al governo e quindi si
è creato un business. C’è poi il Sudan, che avendo connivenze con le milizie filo-governative,
non ha alcun interesse ad andare contro gli stessi Janjaweed. D. - Sul terreno
qual è la situazione? R. - Sono riprese le violenze contro i cittadini di origine
africana, i ‘darfuriani’. E’ quindi ricominciata una grande impunità perché i 7000
uomini dell’Unione Africana schierati sul terreno sono male armati e non hanno possibilità
di effettuare controlli. Prima gli aerei del governo bombardano i villaggi e poi i
Janjaweed arrivano a uccidere, ammazzare, violentare… D. – Le forze africane rimarranno
fino a fine anno: è stato infatti prolungato di qualche mese il mandato. Ma al Consiglio
di Sicurezza dell’ONU invece qual è il dibattito? R. - Gli Stati Uniti cercano
di convincere Russia e Cina a togliere la loro opposizione in sede ONU. Perché è passata
la mozione che autorizza una forza di peacekeeping, ma con un codicillo: la missione
ONU partirà solo se il governo sudanese sarà d’accordo. E appunto Khartoum non può
essere d’accordo, anche perché alcuni dei vertici dei Janjaweed e della stessa amministrazione
sudanese sono ricercati dal Tribunale penale internazionale per crimini contro l’umanità. D.
– Ma, in questo quadro, c’è il rischio di un nuovo Rwanda? D. – Sì, c’ è il rischio,
forse meno impressionante. Per il Rwanda parliamo di 100 giorni di violenze, di un
bilancio di morti che oscilla tra 800.000 e un milione. In Darfur ci sono 200.000
morti, in due anni e mezzo o tre di conflitto. Però il sistema è uguale. **********