2006-09-19 20:16:10

Cristiani, ebrei e musulmani a Roma: per conoscersi e convivere


“Conoscersi e convivere”: questo il titolo della rivista interreligiosa che uscirà a gennaio 2007 e che è stata presentata oggi nell’Aula Giulio Cesare del Campidoglio di Roma. All’incontro erano presenti esponenti di religione cristiana, musulmana ed ebraica. Dopo le polemiche sul discorso del Papa all’Università di Ratisbona, quindi, la presentazione della rivista ha assunto un significato ben più rilevante. Ce ne parla Isabella Piro: RealAudioMP3

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Doveva essere un incontro a carattere prettamente culturale, quello che si è svolto nell’Aula Giulio Cesare del Campidoglio di Roma per presentare “Conoscersi e convivere”, la nuova rivista interreligiosa promossa dal Comune della Capitale. Ma dopo gli ultimi fatti di cronaca, la compresenza di esponenti religiosi cristiani, musulmani ed ebrei ha trasformato l’incontro in una prima prova concreta di dialogo sulla via della pace. Occasioni come queste, ha detto il sindaco di Roma, Veltroni, parlando per primo, servono ad indicare che nessun uomo può alzare la mano sull’altro in nome della religione. Parole che hanno fatto eco al messaggio del presidente della Repubblica Napolitano, letto in apertura, in cui si affermano i principi della convivenza, della solidarietà e dell’azione comune per la pace.
Particolarmente significativo l’intervento di Abdallah Redouane, segretario del Centro culturale islamico di Roma. Esprimendo soddisfazione per l’appello al dialogo lanciato dal Papa all’Angelus di domenica scorsa, Redouane ha poi commentato così le polemiche degli ultimi giorni sul discorso del Papa all’Università di Ratisbona:
“Il Papa ha espresso il suo rammarico ed ha invitato ad un dialogo franco e sincero. Noi, nel Centro islamico culturale d’Italia, abbiamo accolto con soddisfazione l’appello di Benedetto XVI e non risparmieremo alcuni sforzo per la via di questo dialogo. Per quanto ci riguarda, consideriamo tale capitolo come chiuso, al fine di riprendere il cammino di un dialogo sereno, nel rispetto reciproco. Invitiamo tutti, ed in particolare i musulmani d’Italia, ad impegnarsi a tutti i livelli in questo dialogo con le altre religioni e con le istituzioni”.
Da osservatori esterni delle vicende degli ultimi giorni, ha detto nel suo discorso il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, gli ebrei possono dire di aver assistito, metaforicamente, a prove tecniche di trasmissione, ossia di dialogo tra il mondo cristiano e quello islamico. Ed essendo prove tecniche, è normale che ci sia qualche interferenza e incomprensione:
“Ciò che è successo può essere interpretato come il tentativo di due mondi – quello della Chiesa post-conciliare e quello dell’islam – di parlare. E quando ci sono le ‘prove tecniche di trasmissione’, non è che alla prima volta il risultato è buono. Il risultato che va colto è che esiste da entrambe le parti una grande volontà di dialogo. E’ questa volontà di dialogo che va presa, riaffermata, sostenuta”.
La via alternativa alla violenza è il dialogo, che passa attraverso il riconoscimento delle differenze. L’altro deve essere compreso nella sua identità, rispettato ed amato. Lo ha ribadito il cardinale Paul Poupard, presidente dei Pontifici Consigli della cultura e per il dialogo interreligioso, presente anche lui a quest’incontro, che rappresenta un passo avanti sulla via della pace:
“L’importanza del gesto che ha avuto luogo in Campidoglio, che è la casa di tutti, e che dimostra l’impegno di tutti per una convivenza pacifica, fatta di conoscenza reciproca: conoscersi e condividere, conoscersi per condividere, facendo questo dialogo inter-culturale e inter-religioso. E’ questa la particolarità e insieme l’universalità di questo dialogo”.
E al termine dell’incontro, un’emozione ha percorso l’aula Giulio Cesare quando i rappresentanti delle 3 religioni si sono stretti pubblicamente la mano.
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SONO CONVINTA DEL DIALOGO TRA ISLAM E OCCIDENTE
E NON CREDO NELLO SCONTRO TRA CIVILTA’:
L’OPINIONE DEL PREMIO NOBEL IRANIANO, SHIRIN EBADI,
CHE PRESENTA A ROMA IL SUO LIBRO “IL MIO IRAN”
- Intervista con l’autrice -
“Una questione che si è conclusa con le parole di Benedetto XVI”. Non c’è alcuno strascico di tipo polemico in Shirin Ebadi, l’avvocatessa iraniana Premio Nobel per la pace del 2003, diventata nel mondo un’icona per la difesa dei diritti delle donne. A Roma, in questi giorni, per la presentazione del suo libro “Il mio Iran”, edito dalla Sperling&Kupfer, la Ebadi ha accettato di commentare le vicende che hanno visto in questi giorni molte personalità musulmane, opporsi con toni duri alle parole di Benedetto XVI. Il Premio Nobel ha ribadito però di credere nel dialogo tra le culture e non nello scontro di civiltà. Alessandro De Carolis l’ha incontrata:
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R. – Ringrazio Sua Santità perché ha spiegato il significato delle sue parole, che non aveva intenzione di offendere il nostro profeta Maometto: lo ringrazio di cuore e credo che la questione finisca qui.
D. – Episodi come questa vicenda, però, possono scoraggiare persone che credono si possa parlare di dialogo tra mondo occidentale e islam. Lei, da musulmana, crede o no allo scontro di civiltà?
R. – Io credo veramente nel dialogo tra le religioni e non sono assolutamente favorevole allo scontro tra civiltà. E poi, questo genere di scontro e questo tipo di integralismo, non appartiene soltanto ai musulmani: esiste in molte società e in molte civiltà e religioni.
D. – Nel suo libro, lei scrive che tra il ’98 e il ’99 il suo Paese visse uno straordinario momento di libertà di stampa e di opinione, ribattezzato “la primavera di Teheran”. Come descriverebbe ora il suo Paese, che proprio oggi il suo presidente rappresenta dalla tribuna dell’’ONU?
R. – Io ho scritto nel mio libro che questa primavera della libertà non è stata molto lunga: è stata anzi molto breve e chiaramente adesso la situazione è molto più difficile. La libertà ha tempi ancora più duri, nel nostro Paese.
D. – Lei nel 2003 è stata Premio Nobel per la pace. Ma da sei anni è anche sulla lista dei condannati a morte, nel suo Paese. Come riesce a conciliare la responsabilità sociale che comporta il suo essere difensore dei diritti umani, con la consapevolezza e la paura che qualcuno un giorno potrebbe, per lo stesso motivo, farle del male?
R. – Il dovere di chi difende i diritti umani è ancora più importante in una società in cui vengono violati tali diritti. Ma se credi nella strada che stai percorrendo, se credi di avere intrapreso la strada giusta, allora con più sicurezza prendi i tuoi passi e vai avanti. D’altronde, io sono una credente, sono musulmana. E questo mi dà maggiore sicurezza: mi dà la forza di andare avanti.
D. – Il suo nome, oggi, è diventato sinonimo di tutela dei diritti, della donna in particolare. Come valuta lo stato di questi diritti oggi nel suo Paese, e in cosa consiste il suo lavoro in loro difesa?
R. – Io penso che uomini e donne siano uguali. Solo che l’interpretazione sbagliata a questo dato di fatto nella nostra religione islamica ha fatto sì che le donne, nel nostro Paese, siano discriminate. Quello che sto facendo io, il mio lavoro, consiste nel presentare una giusta interpretazione proprio a partire dall’islam: una giusta interpretazione di ciò che è stato capito male.
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