2006-06-18 16:44:38

Mondiali di Calcio: il Ghana suona la riscossa dell'Africa


(18 giugno 2006 - RV) Ai Campionati Mondiali di Calcio di Germania 2006 è arrivata l’ora delle squadre africane: la vittoria a sorpresa, ieri, del Ghana sulla Repubblica Ceca riaccende le speranze calcistiche di un intero continente in cui i primi “maestri del pallone” sono stati spesso i missionari. Il pareggio sofferto dell’Italia con gli Stati Uniti ha rimesso in gioco le sorti del girone. Ma che cosa rappresenta oggi il Mondiale e lo sport del calcio per la società africana? Giancarlo la Vella lo ha chiesto a mons. Giorgio Biguzzi, vescovo di Makeni, in Sierra Leone:
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R. – E’ una società composita, ma è una società molto giovane, e potete immaginare quanto interesse ci sia per il calcio. A Makeni ci sono moltissimi club che hanno la TV. Noi, infatti, non abbiamo la televisione, solo i privati hanno il satellitare. Ci sono masse di giovani che affollano questi piccoli club per seguire il calcio. Per fortuna è un momento di pace e non di guerra.
D. – Nei limiti del possibile, il calcio è uno sport soltanto guardato oppure anche praticato in Africa?
R. – In Africa credo che il calcio sia ancora quello che era originariamente, cioè lo sport dei poveri. Qualsiasi villaggio taglia l’erba, spiana qualche campo, mettono su quattro bastoni per fare le porte, e magari anche scalzi, se hanno un pallone, giocano. Si è cominciato così anche nelle missioni: con il radunare i giovani, farli stare insieme oltre che per l’istruzione e la catechesi anche per lo sport. Quindi, è praticato ormai in tutte le nostre scuole, in tutti i nostri centri. Quando, quindi, arriva a livelli nazionali e poi mondiali è qualcosa che tocca direttamente le nostre giovani generazioni. Siamo qui da 31 anni e mi ricordo già dall’inizio lo sport come parte integrante del sistema educativo. Ma l’analfabetismo è ancora al 70 per cento. Nei villaggi dove ci sono dei giovani si spiana il terreno e con un pallone, a volte di fortuna, si gioca.
D. – Perché il calcio quando viene praticato in Africa a livello agonistico rimane, però, ancora uno strumento di emancipazione? L’obiettivo dei calciatori forse è quello di andare a giocare in Occidente per desiderio di guadagnare cifre importanti?
R. – Questo è l’obiettivo non solo dei calciatori, ma un po’ di tutti, perché vivendo qui in situazioni di economie depresse, chi ha raggiunto un certo livello desidera ovviamente spostarsi dove ci sono salari alti e una tecnologia adeguata. Purtroppo è così anche per lo sport. Abbiamo, però, dei casi di coloro che avendo guadagnato molto in Occidente fanno poi degli investimenti a casa loro. Qui in Sierra Leone, per esempio, un grosso nome era quello di Mohamed Callon, che sta costruendo un grosso albergo, investendo qui i suoi capitali. C’è poi il caso più noto di George Weah, in Liberia, che voleva addirittura diventare presidente.
D. – Tra quattro anni il mondiale di calcio approderà in Africa, sia pure in Sudafrica, forse il più occidentale dei Paesi africani. Sarà quello il momento in cui una squadra africana riuscirà ad entrare nel gotha del calcio mondiale?
R. – Tutti lo sperano ed anch’io lo spero, per sentirci uguali al resto del mondo. Noi dell’Africa Occidentale seguiamo le squadre vicine, cioè il Ghana, la Costa d’Avorio, ma tutti tifano per qualsiasi squadra africana.
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