Mondiali di Calcio: il Ghana suona la riscossa dell'Africa
(18 giugno 2006 - RV) Ai Campionati Mondiali di Calcio di Germania 2006 è arrivata
l’ora delle squadre africane: la vittoria a sorpresa, ieri, del Ghana sulla Repubblica
Ceca riaccende le speranze calcistiche di un intero continente in cui i primi “maestri
del pallone” sono stati spesso i missionari. Il pareggio sofferto dell’Italia con
gli Stati Uniti ha rimesso in gioco le sorti del girone. Ma che cosa rappresenta oggi
il Mondiale e lo sport del calcio per la società africana? Giancarlo la Vella lo ha
chiesto a mons. Giorgio Biguzzi, vescovo di Makeni, in Sierra Leone: *********
R. – E’ una società composita, ma è una società molto giovane, e potete immaginare
quanto interesse ci sia per il calcio. A Makeni ci sono moltissimi club che hanno
la TV. Noi, infatti, non abbiamo la televisione, solo i privati hanno il satellitare.
Ci sono masse di giovani che affollano questi piccoli club per seguire il calcio.
Per fortuna è un momento di pace e non di guerra. D. – Nei limiti del possibile,
il calcio è uno sport soltanto guardato oppure anche praticato in Africa? R. –
In Africa credo che il calcio sia ancora quello che era originariamente, cioè lo sport
dei poveri. Qualsiasi villaggio taglia l’erba, spiana qualche campo, mettono su quattro
bastoni per fare le porte, e magari anche scalzi, se hanno un pallone, giocano. Si
è cominciato così anche nelle missioni: con il radunare i giovani, farli stare insieme
oltre che per l’istruzione e la catechesi anche per lo sport. Quindi, è praticato
ormai in tutte le nostre scuole, in tutti i nostri centri. Quando, quindi, arriva
a livelli nazionali e poi mondiali è qualcosa che tocca direttamente le nostre giovani
generazioni. Siamo qui da 31 anni e mi ricordo già dall’inizio lo sport come parte
integrante del sistema educativo. Ma l’analfabetismo è ancora al 70 per cento. Nei
villaggi dove ci sono dei giovani si spiana il terreno e con un pallone, a volte di
fortuna, si gioca. D. – Perché il calcio quando viene praticato in Africa a livello
agonistico rimane, però, ancora uno strumento di emancipazione? L’obiettivo dei calciatori
forse è quello di andare a giocare in Occidente per desiderio di guadagnare cifre
importanti? R. – Questo è l’obiettivo non solo dei calciatori, ma un po’ di tutti,
perché vivendo qui in situazioni di economie depresse, chi ha raggiunto un certo livello
desidera ovviamente spostarsi dove ci sono salari alti e una tecnologia adeguata.
Purtroppo è così anche per lo sport. Abbiamo, però, dei casi di coloro che avendo
guadagnato molto in Occidente fanno poi degli investimenti a casa loro. Qui in Sierra
Leone, per esempio, un grosso nome era quello di Mohamed Callon, che sta costruendo
un grosso albergo, investendo qui i suoi capitali. C’è poi il caso più noto di George
Weah, in Liberia, che voleva addirittura diventare presidente. D. – Tra quattro
anni il mondiale di calcio approderà in Africa, sia pure in Sudafrica, forse il più
occidentale dei Paesi africani. Sarà quello il momento in cui una squadra africana
riuscirà ad entrare nel gotha del calcio mondiale? R. – Tutti lo sperano ed anch’io
lo spero, per sentirci uguali al resto del mondo. Noi dell’Africa Occidentale seguiamo
le squadre vicine, cioè il Ghana, la Costa d’Avorio, ma tutti tifano per qualsiasi
squadra africana. **********